Corriere 18.2.16
Il primo verdetto
di Antonio Polito
Le
trivelle in alto mare non sono come l’acqua che esce dai rubinetti. Non
provocano le stesse angosce sul nostro futuro e sulla nostra salute.
Per quanto i politici tentino sempre di sfruttarne le paure, il corpo
elettorale ha una sua pachidermica saggezza, e si muove solo per cause
che ne valgano la pena. Così, a sorpresa, cinque anni fa rivitalizzò lo
strumento referendario raggiungendo il quorum in difesa dell’acqua
pubblica. Stavolta invece la materia delle trivellazioni in mare è
apparsa ai più troppo complessa tecnicamente e forse troppo pericolosa
economicamente per un Paese che ha fame di energia. Bisogna anche
aggiungere che il movimento referendario aveva già ottenuto buona parte
delle sue richieste, spingendo il governo ad accettarle per via
legislativa, e che era rimasto sulla scheda solo un quesito di minor
portata e valore. Il che, se da un lato conferma l’esistenza di una
forte sensibilità ambientalista nel Paese, e anche di una combattività
su questo tema delle Regioni (nove delle quali avevano promosso la
consultazione), dall’altro lato rendeva ancora meno importante e
convincente la battaglia referendaria residua.
Allo stesso tempo ,
il tentativo di politicizzare il referendum, e di trasformarlo nel
debutto di una Alleanza contro Renzi di tutte le opposizioni, esterne e
interne, da Emiliano a Salvini, da Brunetta a Di Maio, non ha
funzionato. È probabile che una parte dell’affluenza al voto, un po’
superiore che in altri casi di quorum mancati, venga proprio da lì, da
una motivazione politica più che di merito. Ed è plausibile che Renzi
stesso l’abbia favorita, eccitando i suoi avversari con un appello
all’astensione che forse ne ha portato qualcuno di più alle urne. Ma il
conto finale è chiaro: l’operazione «spallata al governo» è fallita.
Nemmeno lo scandalo lucano, che pure odora di petrolio e di mare, ha
smosso più di tanto le acque.
Eppure il referendum di ieri era
solo la prima tappa del tour elettorale che aspetta il premier da qui a
ottobre. Adesso arrivano le Comunali, il terreno più difficile per Renzi
perché più che su di lui si vota sui candidati di un Pd debole nelle
città, e l’appello «o me o il caos» è molto meno efficace. Ma poi, dopo
le Amministrative, la madre di tutte le battaglie: il referendum
confermativo della riforma costituzionale, al cui successo Renzi ha
legato la sua carriera politica.
Si tratterà, come è ovvio , di
una prova molto diversa da quella sulle trivelle. Ma alcune indicazioni
del voto di ieri dovranno essere attentamente considerate dal premier.
Si può infatti supporre che nell’affluenza di ieri si annidi un nocciolo
duro, numericamente tutt’altro che disprezzabile, di opposizione al
governo. E se stavolta Renzi ha potuto agevolmente scavalcarlo facendo
leva sulla «maggioranza silenziosa» di chi non è andato a votare, a
ottobre, quando non sarà richiesto il quorum, dovrà invece mobilitare
quella maggioranza e farla parlare, portarla alle urne, se vorrà
vincere. Un’affluenza bassa come quella di ieri sarebbe infatti l’humus
perfetto per un successo dei No, perché a votare ci vanno sempre i più
motivati.
Però è anche vero che abrogare il Senato elettivo può
risultare più popolare che abrogare le trivelle in alto mare. E in ogni
caso il premier, prima di un voto importante, si tiene sempre nella
manica un asso fiscale da giocare, proprio come fece alle Europee del
2014.
Antonio Polito