La Stampa 15.4.16
Così ritorna l’Europa delle nazioni
di Stefano Stefanini
Oggi
l’Europa è una nave che fa acqua da più parti. Le falle sono
terrorismo, crescita, immigrazione, crisi ucraina, Libia. Potrebbe
aggiungersi l’uscita di Londra dall’Ue con le pene di un amaro divorzio.
L’equipaggio tampona quanto basta per continuare la navigazione, ma
l’acqua continua a entrare. Viene il momento in cui chi è a bordo
comincia a calare le scialuppe di salvataggio perché dispera di evitare
il naufragio collettivo. Per salvarsi che l’Austria chiuderebbe la
frontiera. Per salvarsi rispunterebbero i muri.
L’estate che si
avvicina porterà un’altra ondata d’immigranti. Tappata la rotta
balcanica, a condizione che regga l’accordo Ue-Turchia, si riverseranno
soprattutto attraverso l’Italia. Ne sono già arrivati più della metà
rispetto allo scorso anno. L’impennata non rallenterà, semmai il
contrario, non appena i trafficanti avranno riorientato il «business
model» dall’Egeo al Nord Africa e/o all’Adriatico. La Libia resta
un’autostrada aperta su tutto il Golfo di Guinea. L’insediamento a
Tripoli di Fayez Al Sarraj apre uno spiraglio alla stabilizzazione, ma
gli ci vorranno tempo, sudore e sangue prima di controllare il
territorio. Intanto i casellanti Isis e altri incassano il pedaggio e
lasciano passare.
Il Presidente della Repubblica ha perfettamente
ragione. I muri sarebbero il suicidio dell’Europa. Tuttavia le parole di
Sergio Mattarella rischiano di cadere nel vuoto se ufficiali e
equipaggio della nave Europa non sono in grado di rassicurare i
passeggeri che la nave non farà la fine del Titanic. I leader nazionali
non fanno altro che rispondere alle aspettative e sentimenti di chi li
ha eletti. Werner Faymann, Viktor Orban, Robert Fico sono effetti non
cause di una corsa alla rinazionalizzazione della politica in Europa.
Non
sono i soli. Quando Cameron rischia tutto su un avventato referendum, o
Schaeuble attacca la Bce per una politica monetaria espansiva che oltre
Atlantico ha funzionato egregiamente, si fanno interpreti di quanto
chiedono larghi strati delle loro opinioni pubbliche. Farebbe
diversamente Matteo Renzi? Certo, i leader dovrebbero guidare e non solo
essere guidati, ma quella stoffa è diventata merce rara in Europa.
Bisogna cercarla a Myanmar o in Canada; o in un Presidente americano che
ha il coraggio di uscire dalla Casa Bianca ben meno popolare di quando è
entrato.
La rinazionalizzazione delle politiche estere risale
almeno al 2003 quando l’Europa si spaccò sull’intervento americano in
Iraq. Adesso però tocca corde profonde, come il controllo delle
frontiere, sicurezza dei cittadini, identità culturale su cui nessun
governo è disposto a cedere sovranità. Non glielo consentirebbero gli
elettori. Bruxelles, una capitale senz’anima nazionale, non se ne rende
conto. Questo, purtroppo, il deficit di democrazia dell’Ue, messo a nudo
dalle crisi. I cittadini si fidano (fino a un certo punto) di
rappresentanti per cui abbiano votato.
Sia ben chiaro: la fine
dell’Unione sarebbe un disastro geopolitico internazionale. Altro che la
fine dell’Urss rimpianta da Vladimir Putin; e la Russia ne patirebbe le
conseguenze. Per salvarsi - da se stessa - l’Europa ha una sola strada:
stringere le file fra leader, riconoscendo anche i rispettivi vincoli
nazionali; rafforzare il «più Europa» solo dov’è indispensabile come la
moneta comune, Schengen, lotta al terrorismo, mercato unico; riversare
tutte le risorse, umane e finanziarie, di cui ancora dispone l’Ue dove
ce n’è veramente bisogno.
Alla vigilia di un’estate calda sulle
rotte mediterranee, questo significa molto occuparsi d’immigrazione e
rifugiati, sia come controllo frontiere (quando arriva la guardia
costiera europea?) e vaglio rigoroso delle entrate che come assistenza e
accoglienza degli arrivi. I Paesi in prima linea come Italia, Grecia o
Spagna non vanno lasciati da soli. Migranti e rifugiati devono trovare,
fuori e dentro il perimetro Ue, condizioni decorose e civili. Altrimenti
avremo presto un’altra bomba a orologeria, dentro e fuori.