La Stampa 14.4.16
Un cuscinetto turco per Berlino
di Marta Dassù
Sembra
strano che a Torino, al dialogo di alto livello fra Germania e Italia,
si sia discusso molto di Turchia. Ma strano non è. L’accordo con Ankara,
gestito in prima persona da Angela Merkel, è il modo in cui la Germania
ha cercato di moderare l’impatto della crisi dei rifugiati, la crisi
più grave dal 1945 in poi.
Per tutta una fase iniziale, Berlino ha
tentato di costruire una risposta «interna» all’Europa, appoggiando
prima il sistema delle quote (con una revisione di fatto della
Convenzione di Dublino, cui Germania e Italia restano favorevoli). E poi
dichiarando - con una scelta unilaterale duramente contestata da Paesi
come l’Ungheria e la Polonia - di volere aprire comunque le porte
tedesche ai rifugiati siriani. Quando ha constatato il parziale
fallimento di entrambe queste scelte politiche e quando ne ha visti i
costi domestici, la Cancelliera tedesca ha cambiato strategia.
Ha
puntato a «esternalizzare» il problema, individuando nella Turchia una
sorta di «buffer State», uno Stato cuscinetto, che può assorbire e
filtrare l’impatto dei rifugiati siriani. È una politica costosa (i
famosi 6 miliardi di euro) ma che, secondo Berlino, sta in qualche modo
funzionando. La soluzione Turchia ha evidentemente un prezzo, economico e
politico; ma appare, alla prova dei (primi) fatti, come il male minore.
Questo
è vero anche dal punto di vista dell’Italia: sui problemi
dell’emigrazione, la vicinanza di posizioni, fra Berlino e Roma, è
rilevante. Per l’Italia, tuttavia, l’accordo con Ankara - di cui si
vedranno nel tempo tenuta e risultati - non è di per sé sufficiente.
Combinandosi alla chiusura della rotta balcanica, lascia infatti esposto
il nostro Paese all’afflusso di rifugiati e migranti economici (per lo
più non siriani) sulla rotta mediterranea. Rispetto al 2015, i primi
mesi del 2016 vedono già un aumento assai consistente dei flussi verso
le coste italiane. In altri termini: la politica migratoria tedesca,
almeno in questa fase, è essenzialmente «Syria-first», fino a sembrare
«Syria only». L’Italia ha bisogno di aggiungere altri pezzi. Fra cui,
probabilmente, la costruzione di un secondo «buffer State» sulle coste
mediterranee: vedremo presto se funzionerà la stabilizzazione della
Libia e se funzionerà anche a questo fine.
L’Europa è di fronte a
crisi multiple e simultanee, analizzate per una volta senza tanti veli
retorici nel dialogo italo-tedesco di Torino, concluso dai Presidenti
Mattarella e Gauck. Il problema, io credo, è che le ricette per
affrontarle non sono coerenti fra loro.
Dal punto di vista della
Germania, una politica espansiva nella zona euro continua ad essere
parte del problema, non della soluzione. Ma se si aggiunge una sfida
esistenziale come quella migratoria - con il suo carattere strutturale,
viste le tendenze demografiche - l’esigenza di flessibilità finanziaria
aumenta. Così come aumenta quando la parte tedesca parla giustamente di
un Piano economico europeo (una specie di Piano Marshall, ha detto
Wolfgang Schäuble mesi fa a Davos) per il Mediterraneo e per l’Africa.
La sensazione, in effetti, è che solo considerando l’insieme delle crisi
che la interessano - con il loro impatto senza precedenti sulle
politiche domestiche - l’Europa riuscirà forse a superare anche la
contrapposizione ormai sterile sulla gestione dell’euro. È uno scenario
quanto mai ottimistico, nelle condizioni europee di oggi; ma a Torino - e
questo mi pare il risultato più importante - questo approccio
complessivo ha fatto le sue prime prove.