La Stampa 13.4.16
Renzi
La scommessa a rischio di un uomo solo
di Emanuele Felice
Ma
perché Renzi è in difficoltà? Stile e direzione di marcia non sono
cambiati, in un orizzonte economico un po’ meno cupo. Il premier però
non è riuscito a costruire una classe dirigente. Soprattutto, non vi è
riuscito nel suo partito, che fatica a seguirlo. E così Renzi continua a
realizzare il programma promesso – riforme strutturali per rendere
l’Italia più competitiva – mettendoci la faccia, come ama dire. Ma
sempre più appare un uomo solo, circondato da fedelissimi non senza
macchia. Se tale rimarrà, finirà inevitabilmente per perdere la sua
scommessa, e la stagione renziana si risolverà in un nulla di fatto. In
un’altra occasione mancata.
Di quel che sta accadendo il
referendum sulle trivelle è forse l’esempio più eloquente, benché meno
importante. Le difficoltà per Renzi sono state create, in larga parte,
dai governatori del suo stesso partito. Ma le grandi linee di politica
energetica sono già state decise, vincoli ambientali compresi, e vanno
nella direzione auspicata dai promotori del referendum. Quel che rimane è
un punto di dettaglio, che peraltro comporta (piccoli) rischi
ambientali in entrambi i casi: sia che alcune trivelle continuino a
operare, sia che vengano smantellate a breve. Eppure su questo il Pd è
riuscito nel capolavoro di dividersi in ben tre posizioni: astensione
(renziani), no (Bersani, Letta), sì (altri esponenti della minoranza e
amministratori locali, specie al Sud). E per un motivo o un altro,
nessuna delle tre opzioni fa buona impressione: l’astensione per il suo
opportunismo (peraltro in un referendum scorporato dalle amministrative,
con grande sperpero di denaro pubblico), il no perché velleitario, il
sì per la mistificazione degli argomenti. Un simile naufragio era
difficile immaginarselo, per un grande partito riformista che guida il
governo e le Regioni. Ancor più paradossale perché sul tema proprio quel
partito le scelte fondamentali le ha già compiute: qui si naufraga in
un bicchier d’acqua, anzi, in una goccia d’olio.
Che però il
problema sia ben più ampio, e più serio, lo confermano altre vicende. Di
Bagnoli si parla poco, ed è già dire: ma quella è la più grande
iniziativa messa in campo per il rilancio del Sud, da vent’anni a questa
parte. Opera pienamente renziana, nello spirito, va in una direzione
più volte auspicata: procedure veloci ed efficienti, sì da non
impantanarsi nelle pastoie locali; ambizione e visione strategica; al
tempo stesso rispetto del contesto così come dei vincoli esistenti (in
concreto prevede meno cemento e più turismo e innovazione). Tutto bene
quindi? Macché. Renzi va a Napoli a proporre il suo grande piano e si
trova alle prese con le manifestazioni di piazza – e con i media
nazionali che parlano quasi solo delle proteste. Perché a Napoli c’è la
campagna elettorale, certo. E perché in quella campagna elettorale il Pd
è già sconfitto, paralizzato dalle liti interne.
E poi c’è il
tema più importante, la riforma costituzionale. Sul referendum
confermativo, in autunno Renzi ha deciso di giocarsi la premiership. Ma
quel referendum può perderlo, se il suo partito non lo sosterrà in
maniera convinta e compatta. Si mobiliterà il Pd a favore del suo
segretario? O invece sarà quella, per una parte, addirittura l’occasione
di farlo fuori? E perché il conflitto interno è arrivato a questo
punto? Come altri outsider prima di lui, Renzi non riuscirà a cambiare
il Paese, se non ha ben chiaro che tale è impresa – per l’enormità delle
sfide in campo – di un’intera nuova classe dirigente, lungimirante e
preparata: occorre sapersi scegliere i compagni di strada, sulla base
del merito e della condivisione di un progetto generale; non di
interessi particolari.