il manifesto 13.4.16
Riforme, Renzi è già al “chi mi ama mi segua”
Parlamento.
La camera vota per l'ultima volta la legge di revisione della
Costituzione. Non ci sono abbastanza sì e dunque a ottobre ci sarà il
referendum. Secondo il presidente del Consiglio "può votare no solo chi
mi odia". La minoranza del Pd intanto chiede che non si personalizzi la
consultazione
di Andrea Fabozzi
ROMA Il giorno
dopo la «giornata storica» è quello in cui effettivamente si vota la
riforma costituzionale. Non parla il presidente del Consiglio (è in
Iran) ma torna la ministra Boschi (era a Londra). Resta semivuota la
camera dei deputati. La legge di revisione costituzionale, presentata
giusto due anni fa dal governo e firmata Renzi-Boschi, viene
definitivamente approvata dal parlamento. Modifica 43 articoli della
seconda parte della Costituzione italiana e uno della prima parte, ne
abroga quattro, cambia anche tre leggi costituzionali e introduce 21
nuovi commi come disposizioni transitorie. Né al senato a gennaio, né
alla camera ieri la legge ha raccolto il sì dei due terzi dell’aula, per
questo si potrà chiedere il referendum. Lo faranno senz’altro i
parlamentari di minoranza, lo farà il comitato del no provando a
raccogliere 500mila in tre mesi. Ma lo faranno anche i parlamentari di
maggioranza, dal momento che Renzi vuole un referendum su se stesso. «Il
no – ha detto ieri – si spiega solo con l’odio nei miei confronti».
La
morte di Gianroberto Casaleggio cambia i piani delle opposizioni. Così
come in altre votazioni finali, l’idea era quella di far slittare la
conclusione attraverso l’ostruzionismo. Nella fase delle dichiarazioni
di voto, ogni singolo deputato ha diritto di intervenire. Ma la
maggioranza ha contromosse già sperimentate in due anni di forzature e
strappi al regolamento. La nuova Costituzione si sarebbe potuta votare
anche di notte, anche con una seduta fiume di quelle che si concedono
per le leggi urgenti e in scadenza. Così l’occasione di evitare una
battaglia faticosa e infine inutile è stata colta al volo, come pure
quella di regalarsi qualche ora in più per la campagna per il referendum
di domenica prossima (o per il riposo, i lavori sono sostanzialmente
interrotti fino alla prossima settimana). I deputati grillini non
avevano più l’animo per l’ostruzionismo. Hanno rifiutato anche a una
(non ufficiale) proposta di sospensione dei lavori. In ogni caso anche
loro, come Forza Italia, Sinistra italiana e Lega, sono usciti dall’aula
al momento dell’ultimo voto.
L’aula della camera è un semicerchio
composto da dieci spicchi, solo cinque erano fittamente occupati ieri
alle 17.57 quando la legge è stata votata per l’ultima volta, poi c’era
qualche deputato sparso in altri banchi. I favorevoli sono stati 361,
anche meno dell’ultimo passaggio alla camera (a gennaio erano stati
367). Lontanissima la soglia della maggioranza dei due terzi (420), il
voto di ieri si colloca all’incirca a metà tra la maggioranza teorica
che sostiene il governo (392 deputati, contando anche la truppa di
Verdini) e la maggioranza assoluta al di sotto della quale la riforma
non sarebbe stata neanche proponibile. Sono mancati una trentina di
voti, quasi tutti per le assenze: 13 nel Pd, di cui solo una con un
valore politico rivendicato (il prodiano Franco Monaco), sette tra gli
alfaniani di Alleanza popolare, sette anche in Scelta civica, compresi
due astenuti e due contrari. Compatti per il sì i sette verdiniani.
Anche
le minoranze interne del Pd hanno votato a favore, come negli altri
passaggi parlamentari in cui avevano preferito «non interrompere il
percorso» di una riforma che pure, frequentemente, criticano. Ieri hanno
accompagnato l’ultimo sì con una lunga dichiarazione firmata Cuperlo,
Lo Giudice e Speranza. Annunciano di non aver ancora deciso come si
schiereranno al referendum costituzionale e avanzano tre condizioni per
un appoggio che pure Renzi dà per scontato («tutto il Pd voterà sì», ha
detto ieri). Le tre condizioni sono «rivedere l’Italicum, fare la legge
elettorale perché i cittadini possano scegliere chi mandare al nuovo
senato e non trasformare il referendum in un plebiscito». Ma le prime
due condizioni sono irrealizzabili entro il referendum di ottobre:
l’Italicum diventa pienamente applicabile solo a luglio, la legge
nazionale per l’elezione dei senatori è ancora in mente dei (la sinistra
ha presentato una proposta negli stessi termini più o meno ultimativi
tre mesi fa e non è stata mai discussa); inoltre è discutibile che una
legge nazionale possa decidere sulle leggi elettorali regionali. La
terza condizione è smentita ogni giorno da Renzi, anche ieri dall’Iran:
«Non possono esserci ragioni per votare no». Se non, ha detto, «l’odio
contro di me».
Le ragioni per opporsi alla riforma, invece, le
stavano ricapitolando fuori da Montecitorio i rappresentanti del
comitato del No, che hanno organizzato una manifestazione portandosi
dietro i moduli per la raccolta delle firme per i referendum abrogativi
dell’Italicum (quelli per il referendum costituzionale arriveranno tra
qualche giorno). Nel frattempo dentro l’aula erano rimasti solo i
favorevoli, e tutti si stavano mettendo in fila per fare i complimenti
alla ministra Boschi con strette di mano, pacche sulla spalla, abbracci o
baci, i più audaci anche un selfie. Dopo aver personalizzato al massimo
la scelta nel referendum, Renzi dovrà cominciare a mettersi al fianco
qualche altro testimonial della riforma costituzionale. La ministra
sicuramente, ma anche l’ex capo dello stato per il quale ha chiamato
l’applauso dell’aula lunedì e che, i sondaggi lo informano, è ancora
assai popolare. «Oggi – ha detto – si celebra una vittoria storica, la
vittoria di Napolitano senza il quale non saremmo qui». Lui sicuramente.