La Stampa 12.4.16
Quel mitico West dove si è fatta la Storia
L’ultima trincea pellerossa diventata icona della memoria
di Gianni Riotta
Nell’estate
del 1877 la tribù di indiani dei Nasi Forati, con il suo capo Joseph,
era su tutte le prime pagine dei giornali, considerata con l’ammirazione
e la paura che l’America riserva ai nemici che non sa battere. In
disperata cerca di territori in cui vivere in pace, Joseph, montando a
cavallo notte e giorno, aveva portato i suoi, guerrieri, donne, bambini e
anziani, dall’Oregon oltre le Montagne Rocciose, fino alle pianure. Il
colonnello Gibbon aveva attaccato gli indiani al fiume Big Hole, in
Montana, ma Giuseppe era un guerrigliero straordinario, lasciava i non
combattenti indietro, mandava avanti i giovani a indurre alla carica gli
americani, poi piombava loro addosso e si ritirava imbattuto,
proseguendo la sua Anabasi. Toccò allora al generale Howard, detto «il
Cristiano», per la sua fede religiosa, mutilato della Guerra Civile,
proseguire l’inseguimento. Il 20 agosto al Camas Creek nuovo
combattimento e allora Joseph aveva condotto i suoi in una manovra
incredibile. Lasciando di stucco i cavalleggeri, entrò nel Parco di
Yellowstone, guadando torrenti e valicando canyon, giusto dove oggi
sorge l’ingresso del Parco dei cartoni animati dell’orso Yoghi e del suo
saggio amichetto Bubu.
La guerra
Il parco, odierna meta
paciosa di turisti, d’estate ad ammirare Old Faithful, il geyser che
getta vapore e acqua bollente a cronometro (messo a rischio dai cretini
che lo tempestavano di lattine, usanza ormai proibita), d’inverno per
scorribande in slitte meccaniche, un po’ vietate un po’ sopportate,
divenne un Vietnam in anteprima, ancora studiato all’accademia militare
di West Point. Giuseppe intuì che l’esercito Usa, cui si era unito ora
il generale Sherman, eroe della guerra contro il Sud, avrebbe bloccato
le uscite tradizionali dal Parco, e quindi condusse i suoi in un lento
cerchio, fingendo di puntare a Sud, poi risalendo in fretta al Nord, via
l’impossibile sentiero sulle montagne Absaroka (3000 metri d’altezza) e
il Dead Indian Gulch, tra pascoli di alci e bisonti e branchi di lupi.
Nel parco villeggiavano tre dozzine dei turisti, pionieri delle orde che
seguiranno, e presto l’astuto capo «Specchio», leader militare dei Nasi
Forati, si trovò a decidere quando prenderli in ostaggio, quando
ignorarli, quando usarli come schermo. Nei raid morirono un paio di
civili.
L’esito della guerra dei Nasi Forati finisce con
l’accerchiamento, al confine sognato del Canada, e un nobile discorso di
resa del Giuseppe, ma da allora, almeno per i turisti meno distratti, è
chiaro che ogni parco d’America non è solo libro di storia naturale, ma
anche di storia umana. Gli scolari americani di una o due generazioni
fa, imparavano due versi infantili, adesso censurati perfino da Trump:
«Where we go to school each day, Indian children used to play», sulla
nostra strada per andare a scuola, un tempo, giocavano i bimbi indiani.
La memoria
Nel
parco degli Adirondacks i turisti cercano dunque l’ombra dell’ultimo
dei Mohicani, dal parco Denali, in Alaska, sono emerse tracce di
cacciatori vecchie di 12.000 anni. Un parco è per gli americani, eredi
dei Pellegrini arrivati nel XVII secolo, o Hmong sbarcati da pochi anni,
simbolo di come era il Paese quando i bisonti ne coprivano le praterie,
i salmoni sfamavano le tribù e Manhattan era isola ricca di ostriche e
tabacco, attraversata da un solo sentiero sghembo, traccia originale
della Broadway dei teatri. I capi tribù venivano seppelliti in direzione
delle correnti che portavano il pesce, in simbolo di gratitudine.
Negli
Anni 50 e 60 il parco diventò surgelatore della memoria, e in
automobile con la benzina a 5 centesimi, la famiglia «incontrava» la
natura, scacciati i lupi e gli indiani, spenti, alla prima scintilla,
gli incendi. Lo studioso Bill McKibben ammonì nel suo saggio La fine
della natura (Bompiani) che questi giardini finti, quinta da Hollywood
per turisti, non erano più «naturali» e l’uomo non doveva esserne il
regista. Tra mille polemiche gli incendi dell’estate 1988 a Yellowstone
non vennero spenti per la prima volta, il fuoco non doloso tornò a
essere parte della natura e, malgrado le proteste degli allevatori, il
lupo e altri predatori vennero reintrodotti nei parchi.
L’America
post 2000 si affolla sulle coste, Atlantico e Pacifico, e nelle Grandi
Pianure, immense aree non coltivate né abitate, generano un nuovo,
grande e solitario parco svuotato dall’Homo detto Sapiens. Nei parchi
della California e del Colorado tribù di giovani si esercitano in
alpinismo estremo, senza protezione, e in lanci nel vuoto con corde
elastiche, sfidando la morte, a volte perdendo. I loro padri erano certi
di dominare la Natura, confinandola in un parco. Loro, malgrado lo
smartphone nello zainetto non ne sono più sicuri e si interrogano,
acrobati digitali in un parco trasformato in terra di nessuno tra Natura
e Storia.