martedì 12 aprile 2016

La Stampa 12.4.16
E il Documento non elimina il rischio di una procedura Ue per deficit eccessivo
I contenuti del piano Padoan già noti ai tecnici della Commissione
di Marco Zatterin


Nessuno è sorpreso. Negli uffici dove si studiano i numeri di bilancio e congiuntura dei Ventotto si sussurra che i tecnici della Commissione Ue sono stati avvertiti in anticipo dei piani elaborati da Pier Carlo Padoan. Li attendono per venerdì, ma già li conoscono, perché i contatti fra Roma e Bruxelles sono stati continui. Questo, però, non toglie che ci saranno difficoltà. Nel Team Juncker coabitano anime confliggenti. Si registra la volontà di evitare scontri, ma va fatta quadrare con le regole e concedendo qualcosa anche ai falchi. Il che comporta ancora il rischio concreto di finire in procedura di deficit eccessivo in maggio. Magari in versione «temporanea», ma sempre «in procedura».
Nella zona dei rigorosi, i due vicepresidenti della Commissione Valdis Dombrovskis e Jyrki Katainen che sono nordici e popolari come Frau Merkel, la linea non è cambiata. La flessibilità è considerata un’opportunità prevista, ma il risanamento vive di interventi strutturali, di correzione e di riforma. Dombrovskis dice di guardare «guardare con spirito aperto» alla riforma dell’output gap (la differenza fra crescita potenziale ed effettiva a cui sono legati i parametri fiscali, ndr) chiesta dall’Italia, però «dipende dai Ventotto». Il francese dell’Economia, Pierre Moscovici, è per vocazione più possibilista. Troverà una sponda nel presidente Juncker, uno persuaso che se si fa dell’austerità un dogma, ci si strangola. Basterà?
Per concedere i margini di flessibilità chiesti dall’Italia con la Legge di stabilità 2016, la Commissione ha posto tre condizioni: l’aumento effettivo deli investimenti; l’avanzamento delle riforme; l’esistenza di un piano concreto di rientro del debito verso gli obiettivo di medio termine. I primi due centri sono a portata. Il terzo va studiato. Bruxelles vuol far rispettare i Trattati, per non intende avviare un altro braccio di ferro con l’Italia, governo considerato «stabile ed europeista».
Aiuta che il secondo rinvio spontaneo del pareggio di bilancio, spostato da Padoan al 2019, non è ritenuto il problema principale, sebbene l’obiettivo venga considerato una promessa più che una realtà: passare da un deficit di 0,9 a un attivo di 0,1 nel 2018 che è un anno elettorale, appare un rompicapo che i tecnici della Commissione preferiscono rinviare. Per ora, se lo dice il governo, va rispettato. Il guaio sta nella correzione del saldo strutturale e nel deficit. Per il 2016, Padoan promette un disavanzo del 2,3% del pil, dato che cade a metà fra la vecchia previsione (2,2) e quella della Commissione (2,4). E’ un’offerta di mediazione.
Per il 2018 Roma promette di calare all’1,8% (che non è l’1,1 atteso a Bruxelles). Il governo, spiegano nella capitale Ue, ha spiegato che già questo dato richiede uno sforzo immenso, che costringerà a una manovra difficile. «L’opera si completerà con la spending review ci hanno detto», racconta una seconda fonte.
L’allarme rosso scatta alla correzione strutturale. Il cammino negoziato contemplava un miglioramento di 0,6 punti. Il Def 2016 suggerisce che ci si fermerà allo 0,1. Manca mezzo punto. Un dato, questo come gli altri, che dovrà essere confrontato con le previsioni che la Commissione varerà il 3 maggio e coi dati definitivi sui conti pubblici attesi da Eurostat il 21 aprile. Poi partirà la volata verso il verdetto. Bruxelles varerà le raccomandazioni, chiederà correzioni, prenderà provvedimenti. «Non esclusa una Edp lampo», suggerisce una fonte davanti all’evidente scostamento. Vuol dire mettere sotto procedura di deficit eccessiva l’Italia con una formula simbolica.
Il governo sostiene che non succederà, che il Def ha carte in regola. A Bruxelles ammettono che bisogna lavorare ancora.