La Stampa 11.4.16
Tutti gli ostacoli sulla strada di un’intesa tra governo e giudici
Le agende contrapposte del premier e del neopresidente Davigo
di Francesco Grignetti
Piercamillo
Davigo contro Matteo Renzi, sul ring della giustizia si vanno
profilando due strategie diverse. E saranno scintille, c’è da giurarci.
Come per le intercettazioni. Davigo dice che non merita occuparsene. Il
governo avrebbe previsto una riforma, all’esame del Senato, per frenare
le pubblicazioni che ledono la privacy, ma già ci stanno ripensando.
Giustizia civile
L’analisi
di partenza è comune: in Italia il tasso di litigiosità porta a troppi
processi . Davigo usa parole che faranno venire l’orticaria agli
avvocati: «Contro una domanda patologica di giustizia è necessario
rendere poco conveniente il non osservare la legge».
E quindi, per
scoraggiare la corsa a fare causa, oltre a mazzolare la classe forense,
«in Italia c’è un terzo di tutti gli avvocati d’Europa», il
neopresidente dell’Anm chiede formidabili tassi di interesse giudiziale,
e gli alti costi sostenuti dallo Stato per il processo «devono essere
posti a carico di chi ha torto».
Il governo s’è mosso nella stessa
direzione con quel decreto che tagliò le ferie ai magistrati, ma con
gran cautela. Richiamava lo stesso principio del «chi perde, rimborsa le
spese del processo». In pratica, però, c’è soltanto un freno alle
esenzioni, fenomeno dilagante. «La compensazione potrà essere disposta
dal giudice solo nei casi di soccombenza reciproca».
Anche il tasso
legale di interesse è stato innalzato, equiparandolo a quello che si
applica ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, ma non è
iperbolico.
Prescrizioni
Anche qui si parte da una diagnosi
comune. Alla prescrizione si deve mettere mano. Ma le ricette sono molto
diverse. Davigo chiede di «modificare radicalmente il sistema». Per il
neopresidente dell’Anm, lo scandalo non è la soglia della prescrizione
in sé, ma che non si tenga conto delle interruzioni nei conteggi. Negli
Usa - ricorda - il termine di prescrizione (tranne per i reati
imprescrittibili) è di 5 anni, ma una volta esercitata l’azione penale
la prescrizione non decorre più. In Italia s’impugna tutto, «persino le
sentenze di patteggiamento», e i conteggi corrono.
Il governo sta
portando avanti una riforma che ha avuto il via libera dalla Camera, il
24 marzo dell’anno scorso, e però si è impantanata al Senato perchè
osteggiata dagli alfaniani e dalle opposizioni, sia pure per motivi
opposti. Il testo prevede di ritoccare i tempi con sospensioni di 2 anni
dopo una sentenza di condanna in primo grado, 1 anno dopo una condanna
in appello, 6 mesi nel caso di rogatorie all’estero, 3 mesi per perizie
complesse chieste dall’imputato. La sospensione non varrebbe in caso di
assoluzione.
È una riforma che a Davigo non convince assolutamente:
la prescrizione - disse - «dovrebbe fermarsi con il rinvio a giudizio».
Ai magistrati è parso addirittura in controtendenza la novità introdotta
dal Parlamento per i termini rigidi (data da cui si comincia a
conteggiare il tempo di prescrizione) entro cui il magistrato deve
iscrivere una persona nel registro degli indagati.
Depenalizzazioni
È
la prima delle riforme che Davigo sogna, per diminuire il pazzesco
carico di lavoro dei magistrati e concentrare le forze sui processi per i
reati gravi. Perciò «occorre varare una massiccia depenalizzazione,
trasformando in illeciti amministrativi numerosi reati per i quali il
costo dei procedimenti penali è superiore al danno cagionato».
Anche
il governo sa che la partita della giustizia si gioca con le
depenalizzazioni. Ci sono stati finora due provvedimenti: la possibilità
di archiviare i processi per «lieve tenuità del fatto» (e la legge ai
magistrati è piaciuta); la trasformazione dei pochi reati che
prevedevano solo una sanzione pecunaria, in illeciti amministrativi (e
ai magistrati è parso un provvedimento minimale). Ma già questo timido
passo ha scatenato i giustizialisti, vedi Lega e M5S.