lunedì 11 aprile 2016

La Stampa 11.4.16
Da Berlusconi a Mastella, quel “bavaglio” che nessuno è mai riuscito ad approvare
Dietro il braccio di ferro sull’ascolto delle telefonate la paura di finire come Prodi
di Mattia Feltri

Il caso di Debora Serracchiani, uno fra mille, è interessante. Cinque anni fa, nell’aprile 2011, l’esponente del Pd diceva che «l’informazione libera è il peggior nemico di Berlusconi e quindi la sua priorità è tapparle la bocca». Il Pdl era al governo e progettava, ancora una volta, di regolamentare l’uso e la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche, che in quei mesi offrivano i dettagli dei rapporti fra il premier e le sue amichette.
Serracchiani aveva individuato nel centrodestra «un’autentica ossessione» contro «una libertà fondamentale dello stato di diritto», prova di «un nervo scoperto del sistema di potere berlusconiano». Nessuno, scriveva su Facebook, fa il politico «perché glielo ha ordinato il dottore», quindi accetti pubblicità anche «sui comportamenti privati». Il vicesegretario del Pd ha poi modificato opinione. «Non si può tirare troppo la corda. Che ci fosse necessità di regole chiare sulle intercettazioni si sapeva», ha detto già la scorsa estate commentando le disavventure del governatore siciliano Rosario Crocetta.
È un’urgenza che fino a ieri sera sembrava condivisa dal presidente del Consiglio, prima disinteressato al problema e adesso persuaso che «le sentenze si fanno nei tribunali» e non su «un giornale che pesca in un anno e mezzo di intercettazioni la frase più a effetto». Il ministro Andrea Orlando ha ricordato con amarezza che da otto mesi la legge di riforma giace in Senato, ed è sorprendente vista la determinazione dell’esecutivo in altri provvedimenti. La vecchia teoria secondo cui i garantisti sono sempre al governo aiuta a spiegare perché da due decenni la legge non va oltre la fase del dibattito: persino il centrodestra, quando è all’opposizione, non si industria più di tanto nel timore di aiutare una maggioranza nemica.
Poi c’è la contrarietà irriducibile della magistratura che, nell’attività di lobbying, è particolarmente efficace. E sabato, appena eletto presidente dell’Associazione nazionale, il sindacato di categoria, l’ex pm di Mani pulite Piercamillo Davigo si è dichiarato disponibile al dialogo. E, a proposito di intercettazioni, il dialogo si è annacquato presto: «Superfluo». Niente ritocchi. Basta la legge sulla diffamazione, dice Davigo, nonostante la diffamazione colpisca (e non sempre) chi pubblica le conversazioni penalmente irrilevanti e mai chi le fornisca ai giornali. Per il governo le premesse non erano incoraggianti, anche perché ieri Marco Travaglio ha ricordato quello che lui chiama «Fattore Sfiga», con una curiosa adesione alle teorie del caso. Che fosse semplicemente sfortuna o qualcosa di più, poco importa: importa che chi si è messo a brigare con varie “leggi bavaglio” è durato nulla, Giuliano Amato nel ’93, Berlusconi nel ’94, Romano Prodi nel 2008, ancora Berlusconi nel 2011. Forse ieri, prima di registrare l’intervista al Tg5 in cui prontamente esclude di mettere mano alla materia e di muovere guerra alla magistratura, Renzi deve avere ricordato proprio il secondo governo di Prodi. Il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, aveva preparato una disciplina delle intercettazioni molto contestata dall’Anm e, dentro la maggioranza, da Antonio Di Pietro. La legge era passata in un ramo del parlamento e si era fermata nell’altro, anche per l’avviso di garanzia a Mastella e per l’arresto della moglie, Sandra Lonardo: poi di condanne non se ne sono viste, ma Mastella tolse la fiducia a Prodi che non gli concedeva solidarietà politica. E il governo venne giù, con le sue leggi in sospeso.