lunedì 11 aprile 2016

La Stampa 11.4.16
Gas e proiettili di gomma sui profughi
Centinaia di feriti nel campo greco
A Idomeni, la polizia macedone respinge i migranti al filo spinato
Davanti al filo spinato dove finisce il sogno
d Niccolò Zancan

 Ci sono state notti di temporali e preghiere, tentativi falliti di passare il confine guadando il torrente, bocche cucite per protesta, slogan, cartelli, risse, morti d’infarto, bambini nati nel fango e bambini abortiti per sfinimento, in questi lunghissimi mesi a Idomeni, alla frontiera fra Grecia e Macedonia. Ieri è stato il giorno di nuovi scontri davanti al filo spinato. Dove finisce il sogno di proseguire verso il Nord Europa.
è la seconda volta che succede nel 2016. Lacrimogeni sparati dai militari macedoni per contenere un tentativo di sfondamento. Erano le undici di mattina.
A Idomeni sono ancora accampati 15 mila profughi, 11 mila secondo un altro censimento. Puoi vedere tende a perdita d’occhio. C’è il barbiere che lavora con pezzi di specchio, ci sono i chioschi per la distribuzione dell’acqua, pentoloni fumanti e una piccola moschea posticcia per pregare al riparo della pioggia. A Idomeni ci sono moltissimi bambini. Hanno provato a sfondare in cinquecento. Si sono decisi quando la notizia falsa, della possibile riaperture del confine, si è rivelata per quello che era. Si sono avvicinati alle recinzioni. Hanno provato a sfondare fisicamente: mettendo i piedi e le braccia in mezzo al filo spinato che delimita tutta la zona, cercando di abbattere le cancellate. Ma sono stati respinti con gas urticanti e proiettili di gomma. I militari macedoni presidiano il confine con mezzi pesanti. La battaglia è andata avanti fino a sera. Pietre da una parte, lacrimogeni dall’altra. Sono caduti ovunque, intossicando anche le famiglie che stavano cercando riparo nelle retrovie. Trecento persone hanno dovuto ricorrere alle cure dell’equipe di Medici Senza Frontiere. «Non sono mai stato in guerra, ma sembrava qualcosa del genere - dice il capo missione Jonas Hagensen - abbiamo dovuto curare oltre quaranta bambini. All’inizio i gas venivano sparati solo nella zona in prossimità del confine, poi hanno iniziato ad indirizzarli più lontano. Sono entrati anche nella nostra clinica. Lo staff ha avuto seri problemi per riuscire a lavorare. Abbiamo visitato persone ferite da proiettili di gomma, anche alcuni bambini. E abbiamo medicato migranti che erano stati colpiti da manganellate o bastoni. Stanno dilagando frustrazione e rabbia. Questa crisi umanitaria sta diventando ogni giorno più insostenibile». Sull’altro fronte, sono stati feriti tre agenti della polizia macedone. Ma che cosa sta succedendo a Idomeni? Cosa sta diventando questa frontiera d’Europa?
Idomeni è un paese di 160 abitanti, quasi tutti contadini in pensione, in mezzo ai campi di mais nel Nord della Grecia. Da qui incominciava la cosiddetta rotta balcanica dei profughi: Macedonia, Serbia, Ungheria. Oppure più ad ovest, risalendo Croazia e Slovenia. Per arrivare fino in Austria, e proseguire ancora verso Germania e Svezia: le due mete più ambite. Nel 2015 oltre 800 mila migranti l’hanno percorsa. I primi scontri risalgono alla fine di agosto, con il primo tentativo messo in campo dal governo macedone di chiudere il passaggio.
Da allora, il confine è stato sigillato con chilometri di reti e filo spinato. A fine novembre, subito dopo gli attentati di Parigi, che hanno rivelato al mondo che tre terroristi dell’Isis avevano usato questa stessa rotta per andare e tornare dalla Siria, sono iniziate le prime «aperture selettive». Passavano solo piccole quote di siriani, iracheni e afghani. A gennaio, gli afghani sono stati esclusi. Perché ritenuti migranti economici, quindi senza diritto di asilo politico. A febbraio passavano ancora 100 profughi al giorno, mentre il numero di tende aumentava a vista d’occhio. Infine a marzo, la frontiera macedone è stata chiusa definitivamente. Non passa più nessuno.
Nel frattempo, il piccolo paese di Idomeni si è trasformato in questo accampamento di reietti. Sempre più abbruttiti. Sempre più soli, arrabbiati e mal consigliati: erano stati alcuni attivisti dei centri sociali a proporre di guadare il fiume, un tentativo pericolosissimo e fallimentare. Così come girava da giorni, fra le tende, il volantino che proponeva una marcia verso il confine. Sono in tanti, adesso, a cercare di cavalcare il disastro. Ci sono state anche aggressioni organizzate dai neonazisti di Alba Dorata contro i migranti sbarcati sull’isola di Chios.
La maggioranza degli accampati a Idomeni sono siriani, scappano dalla guerra. Ma tutti resistono qui, nella speranza di riuscire a passare. Oltre 90 mila profughi ristagnano in Grecia. C’è un altro accampamento molto simile a quello di Idomeni. È al porto del Pireo, ad Atene. Quattromila persone bloccate in miseria nel più grande snodo turistico del Mediterraneo.