sabato 9 aprile 2016

«La sentenza del Tar condanna la Regione Lombardia a risarcire i danni subiti dagli Englaro, valutati in circa 150mila euro, perché - parole dei giudici - «si è rifiutata deliberatamente e scientemente di dare seguito» alle sentenze, «ponendo in essere un comportamento di natura certamente dolosa».

Repubblica 9.4.16
La rivincita di Englaro “Adesso nessuno soffrirà più come noi”
La Regione Lombardia dovrà risarcire il papà di Eluana Maroni: accetto la sentenza. Ma la giunta si spacca
intervista di Piero Colaprico

«Noi chiedevamo rispetto, loro si sono accaniti contro una famiglia che si era mossa nella legalità, dentro la società.
Non mi sarei perdonato di non essere andato fino in fondo, ma non sfido nessuno: ero e resto un padre»

MILANO. Dice di sentirsi «alla fine dell’inizio». E, per la prima volta, Beppino Englaro parla di «intima gioia», forse perché si è arrivati a un punto fermo. Era il 18 gennaio 1992 quando sua figlia Eluana, dopo una sbandata sul ghiaccio, finì in “stato vegetativo”, senza alcuna relazione con il mondo esterno.
Era il 9 febbraio 2009 quando, alla clinica “La Quiete” di Udine, dopo le sentenze della Cassazione e dei giudici milanesi, Eluana si spense per sempre. Ed è dell’altro giorno, esattamente del 6 aprile, la sentenza del Tar che condanna la Regione Lombardia a risarcire i danni subiti dagli Englaro, valutati in circa 150mila euro, perché – parole dei giudici - «si è rifiutata deliberatamente e scientemente di dare seguito» alle sentenze, «ponendo in essere un comportamento di natura certamente dolosa».
Ricevuta copia della sentenza, l’attuale presidente, Roberto Maroni, pensa di «non ricorrere », anche se la decisione sarà presa in giunta dopodomani. Invece Raffaele Cattaneo, presidente del Consiglio regionale, legato a Cl, insiste per tornare in giudizio, in nome, sostiene, della lotta all’”eutanasia”.
Signor Beppino Englaro, tanto tempo e dolore per arrivare a...?
«Almeno alla fine dell’inizio. Quando la nostra famiglia si è mossa, eravamo in un deserto di leggi. Adesso invece, dopo le varie sentenze, compresa l’ultima, ciascuno, se vuole, ha una strada tracciata per non entrare nelle zone grigie della medicina e della giurisprudenza e non soffrire come abbiamo sofferto noi. Abbiamo insomma un inizio, un cambiamento, anche se per ottenerlo c’è voluto un quarto di secolo».
Sua figlia, in una lettera per Natale, esattamente un mese prima dell’incidente, aveva scritto: «Noi tre formiamo un nucleo molto forte basato sul rispetto e l’aiuto reciproco… ».
«Aveva messo in chiaro chi eravamo. Questa lettera l’avevo data soltanto ai giudici della Cassazione e avevo rinunciato a usarla, anche se un presidente del Consiglio, due rami del Parlamento che hanno sollevato il conflitto d’attribuzione, un ministro che ha vietato di concedere l’uso degli ospedali e una Regione Lombardia, per non parlare di alcuni giornalisti, hanno detto e fatto cose inenarrabili, ingiuste, feroci».
È per questo che ha voluto insistere?
«Se Eluana avesse potuto parlare, avrebbe rifiutato sin dal primo giorno le cure che non portano a nulla, avrebbe detto lei che esiste nella Costituzione italiana il diritto di non accettare le terapie. Noi genitori, Beppino e Saturna, dicevamo le stesse cose. E nonostante la magistratura al suo massimo livello avesse accettato questa possibilità, ecco la Regione Lombardia chiudermi le porte di ogni ospedale in faccia. Con quale diritto? Come rispondere a questa violenza inaudita? Ecco perché ho insistito ».
L’allora Presidente della Regione, Roberto Formigoni, usò la parola coscienza.
«Gli ha risposto bene il Consiglio di Stato. La coscienza è delle persone, la coscienza delle istituzioni dello Stato è rispettare le leggi e le sentenze. Cosa che non è stato fatto, si sono accaniti contro una famiglia che s’era mossa nella legalità dentro la società. Più che chiedere, uno che cosa deve fare? Abbiamo cristallizzato l’abuso subito, perché altri non lo subiscano. Le ultime sentenze usano le nostre parole».
Che cosa prova?
«Mi ridà linfa, sono stato devastato. Eppure, esiste una gioia intima nel vedere queste idee semplici riconosciute, almeno un po’ ripaga delle incomprensioni. Abbiamo lottato, aiutati dagli avvocati come Cristina Morelli, Giuseppe Campeis, Vittorio Angiolini, e quelli che dicevano “lei non capirà mai”, quando capivo, hanno avuto torto. Non mi sarei perdonato di non essere andato sino in fondo, ma non sfido niente e nessuno, ero e resto un padre».
Ora che cosa cambia?
«Il cittadino che ha le idee chiare può farsi rispettare da medici e magistrati. E non è questo, come falsamente dicono, il “diritto di morire”, o “l’eutanasia”. Si tratta più semplicemente di essere lasciati morire quando le cure non servono. È “lascia che la morte accada”, lascia perdere le cure, le rifiuto. Tutto qui. Oggi una legge ancora non c’è, ma si può dire “no, grazie” all’offerta terapeutica dichiarando prima quali sono le proprie volontà e facendosi seguire da un avvocato».
Lei ha espresso le sue volontà?
«Sì, ho lasciato scritto che “Se non posso decidere io, lasciatemi morire”».