domenica 3 aprile 2016

Il Sole Domenica 3.4.16
Polemiche scientifiche
Neuroetica sotto tortura
New York Book review pubblica la difesa sorniona e acuta di Haidt e Pinker all’accusa di collusioni con le atrocità della Cia

Cosa spinge una studiosa di Nietzsche della New York University a definire in modo fazioso i più affermati psicologi e neuroscienziati morali del momento (Paul Bloom, Jonathan Haidt, Steven Pinker, Joshua Greene) su un noto bisettimanale culturale americano, New York Review of Books, «servi del potere»? Nel numero del 25 febbraio 2016 della rivista, la filosofa Tamsin Shaw pubblicava un lungo articolo incendiario dal titolo The Psychologists take power in cui recensendo i libri di questi studiosi li accusava di collusione – quantomeno concettuale – con le torture della CIA.
Nel luglio 2015, un’inchiesta condotta dallo studio legale Sidley Austin aveva accertato che alcuni dirigenti dell’Associazione Psicologica Americana istruivano i militari dei servizi segreti su come potenziare le tecniche di interrogatorio e tortura sui detenuti per terrorismo dopo l’11 settembre. A causa di questo report e dello scandalo conseguitone, l’APA è stata costretta a scuse pubbliche e a una serie di azioni riparatrici. Tuttavia, gli autori citati dalla Shaw con tutto questo non c’entrano nulla. E infatti di questi autori nel report sull’APA non c’è alcuna traccia, ma la Shaw li taccia di frequentare e condividere l’orientamento di psicologi che seppure solo come rimando teorico avrebbero ispirato tattiche di interrogatorio, nonché soprattutto di non fornire una base teorica adeguata per opporsi alla tortura.
La Shaw sostiene che dovremmo insospettirci della «norma morale minimale» che la neuroetica rivendica, rispetto all’ordinaria deliberazione razionale, perché insufficiente a fornire «una bussola morale affidabile» – intende la cooperazione sociale, dato che questa è presa come standard in alcuni esperimenti per valutarne la deviazione nei soggetti e classificarli moralmente. Il tutto per deliberare che la neuroetica non serve a nulla, rispetto alla vecchia filosofia.
La tesi della Shaw, è una pietanza stantia, che ricicla il trito e ritrito luogo comune filosofico della fallacia naturalistica, e cioè che non possiamo dedurre le norme morali da come naturalmente giudichiamo o ci comportiamo, per culminare in vere e proprie calunnie indigeste. Motivo per cui non sorprende che, nell’ultimo numero della rivista, Jonathan Haidt e Steven Pinker si sentano chiamati ad intervenire.
Haidt e Pinker prendono parola con i toni sornioni di cui sono maestri, difendendosi dalle quattro imputazioni. Colpevoli di aver prodotto teorie che chiedono di riflettere e magari di ignorare le nostre reazioni istintive? Pensiamo alle reazioni di rifiuto che molti hanno verso omosessualità, matrimonio interraziale, vaccini: contrastarle, dicono Haidt e Pinker. Secondo la Shaw, questo vorrebbe dire che se la tortura crea una reazione viscerale di repulsione e sconcerto, i neuroeticisti ne deriverebbero di ignorarla concludendo a favore della tortura! Ovvio che no. Colpevoli di associazione, o di pseudo-transitività: siccome gli psicologi morali si ispirano ad alcune idee di Martin Seligman - tra i più noti studiosi della generazione precedente, peraltro teorico della psicologia positiva - e così facevano alcuni che partecipavano al programma CIA, allora tutti gli psicologi morali sono d’accordo con le torture? Colpevoli (Haidt) di un tweet che rimandava a un articolo di Matt Motyl sul Time sui possibili bias (soprattutto conservatorismo epistemico e bias della conferma) che possono inficiare la comprensione del report sulle torture e dunque il suo intento? Insomma, di aver fatto presente che report o non report i favorevoli alle torture rimangono tali, e i contrari pure? Colpevoli di metodi e standard condivisi: se la terapia cognitivo-comportamentale viene usata dai torturatori va condannata tout court? O se per onestà intellettuale e da liberali, notano che scarseggiano psicologi conservatori si schierano coi militari? A uscirne torturato, nel senso del termine anglosassone che indica “tortuoso”, è il ragionamento della Shaw: tortured reasoning.
La cooperazione sociale, puntualizzano Haidt e Pinker, è «una rubrica per una famiglia di comportamenti rilevanti moralmente», così rari tra animali non umani estranei tra loro, per questo interessante, ma non è un criterio morale. La Shaw replica: «Queste correzioni morali [rifiuto di omofobia, razzismo, schiavitù, etc.] su larga scala sono state fatte senza l’aiuto dell’fMRI o dei dati dei questionari psicologici. Il lavoro è stato fatto per deliberazione morale». Verissimo. Ma non è questo il fulcro della neuroetica, che è un appello al rigore filosofico e alla coerenza scientifica. Come spieghiamo nel libro con Gilberto Corbellini ( Tutta colpa del cervello, Mondadori 2013), la neuroetica ci fornisce condizioni funzionali di applicabilità di norme e valori, non quali norme o valori utilizzare. Ce le chiarisce come potenzialità adattive dei nostri cervelli ad ambienti socio-culturali in continuo mutamento, ci indica perché e come concepirle, e ci aiuta a capire perché e come proteggere le correzioni che abbiamo dato alla nostra morale, più vantaggiose e benefiche nel contesto attuale, dal pericolo di sopravvento delle nostre reazioni più ingenue e dannose. Ad esempio, conosciamo bene gli effetti della paura e sappiamo che sentiamo di dover favorire il gruppo a cui apparteniamo anche se ciò implica ignorare il danno causato agli altri e che, come emerso in uno studio del 2011 di Jonathan Baron, Ilana Ritov e Joshua Greene, ciò spinge a politiche nazionalistiche e magari xenofobe. Ne abbiamo prova quotidianamente, queste risposte sono minacce sempre in agguato. Quindi semmai il contrario: la neuroetica è una base empirica indispensabile per teorizzare la morale. Dobbiamo conoscerci a fondo, indagare emozioni e impulsi, bias cognitivi e confabulazioni, inganni e autoinganni in contesti sociali, perché le nostre scelte morali siano il più possibile esigenti sul piano epistemologico, cioè siano strutturate in modo tale da tener conto delle possibili insidie e contribuiscano a migliorarci.
Jonathan Haidt, Steven Pinker, Moral Psychology: An Exchange , The New York Review of Books, Issue 2016, April 7: http://www.nybooks.com/. Elisabetta Sirgiovanni, in qualità di membro del Consiglio Direttivo della Società italiana di neuroetica e filosofia delle neuroscienze (Sine), è redattrice e firmataria di un documento del 2 aprile 2015 contro le tattiche di torture Cia (societadineuroetica.it/).
Elisabetta Sirgiovanni