Il Sole Domenica 3.4.16
Joseph Stiglitz
L’alto prezzo della diseguaglianza
di Adriana Castagnoli
«Un
Paese ricco con milioni di poveri. Un Paese orgoglioso di essere la
terra delle opportunità, ma nel quale le prospettive di un bambino
dipendono dal reddito e dall’istruzione dei suoi genitori più che negli
altri Paesi avanzati. Un paese che crede nel gioco secondo le regole, ma
nel quale spesso i più ricchi pagano tasse inferiori, in percentuale,
al reddito». Queste sono, secondo Stiglitz, le contraddizioni di fondo
della società americana, superiori a quelle di qualunque altro Paese
avanzato.
È lecito chiedersi, pertanto, se la disuguaglianza è
inevitabile nell’attuale società. Un messaggio fondamentale di questo
libro, composto da una raccolta d’articoli e saggi per giornali e
riviste non accademici scritti fra il 2007 e il 2015, è che qualsiasi
politica governativa influisce sulla disuguaglianza. Il pensiero di
Stiglitz, premio Nobel per l’Economia 2001, è chiaro: la diseguaglianza è
sempre esistita e sempre esisterà. Tuttavia, non è inevitabile poiché
ci sono politiche che ci permetterebbero di godere di una prosperità più
diffusa e tutti, condividendo di più, avremmo una maggiore prosperità.
Il
punto è che, negli ultimi trentacinque anni, l’eccessiva
finanziarizzazione dell’economia non soltanto ha determinato una
maggiore instabilità, evidente con la Grande recessione, ma ha anche
enormemente accresciuto la disuguaglianza.
In America, ciò ha
rallentato la crescita perché la disuguaglianza indebolisce la domanda
aggregata e l’economia spostando il denaro dal fondo al vertice della
piramide. Secondo Stiglitz, crescita lenta e disuguaglianza sono scelte
eminentemente politiche in quanto conseguenze di decisioni politiche.
Come un sistema fiscale iniquo con aliquote fiscali che favoriscono i
capital gain e i rent seeking finendo con incidere sui meccanismi della
società.
Nessuna società può funzionare bene senza un minimo di
solidarietà e coesione nazionale. Come emerge anche dalle inclinazioni
populiste dell’attuale campagna presidenziale americana, se i cittadini
frustrati finissero per convincersi che il governo è ingiusto, allora
anche la fede nella democrazia potrebbe svanire. Gli errori del settore
pubblico, che ha fallito nel fornire le capacità che li avrebbe resi più
produttivi, e gli eccessi delle banche per i prestiti predatori e le
pratiche abusive sulle carte di credito, hanno diviso la società: fra
coloro che considerano il Paese una comunità e riconoscono che l’unico
modo per avere una prosperità sostenuta è avere una prosperità
condivisa, e coloro che non lo fanno.
Purtroppo la disuguaglianza
appare una scelta globale. Nel 2013 la Banca mondiale scoprì che, dal
1988 al 2008, gli appartenenti al primo 1% del mondo avevano visto
crescere i loro redditi del 60%, mentre i redditi dell’ultimo 5% non
erano cresciuti affatto. Gli squilibri sono divenuti enormi ovunque e i
poveri di tutto il mondo vengono lasciati indietro anche in luoghi come
la Cina, dove pur beneficiano di un certo miglioramento degli standard
di vita. La Grande recessione non ha fatto che aggravare l’iniquità.
I
veri colpevoli di questa aberrazione, per Stiglitz, sono la
finanziarizzazione e sistemi fiscali iniqui che la favoriscono. Se la
proposta di Thomas Piketty di affrontare la disuguaglianza con una
imposta patrimoniale globale è da considerarsi politicamente
insostenibile, Stiglitz ritiene che ci sia spazio per migliorare i
mercati rendendoli competitivi e che si debba modificare il sistema di
tassazione per renderlo più equo. Per esempio, con imposte sul reddito
per fare in modo che chi lavora non sia costretto a pagare al fisco una
percentuale superiore a quella «di chi si gode i frutti di una ricchezza
ereditata o gestisce fondi di investimento privati».
Il prezzo
della diseguaglianza lo pagano la democrazia e la società nel loro
insieme. Perché un sistema iniquo finisce con erodere i valori
fondamentali di coesione sociale e fiducia. La disparità economica, con
un enorme potere concentrato nelle mani di pochi, favorisce la disparità
politica.
Così, decenni dopo il crollo del 1929, il ritorno
all’autoregolamentazione delle banche e la deducibilità per le imprese
delle stock option hanno creato un sistema che favorisce comportamenti
miopi e l’eccessiva assunzione di rischi. La cultura dell’incentivo ha
sostituito quella della fiducia alla base dello sviluppo delle
transazioni moderne.
Pertanto la questione della disuguaglianza è un problema di concrete scelte di buona politica.
Joseph E. Stiglitz, La grande frattura. La disuguaglianza e i modi per sconfiggerla , Einaudi, Torino, pagg. 436, € 22