Il Sole Domenica 3.4.16
Boccioni Palazzo Reale
Il disegno futurista di Umberto
di Ada Masoero
Il centenario della morte in una mostra di quadri, grafica, sculture e nuovi documenti
A
cento anni dalla morte, che lo colse, beffarda, a 34 anni soltanto
durante la Grande guerra sì, ma per una banale caduta da cavallo, Milano
celebra Umberto Boccioni con una mostra colta e preziosa, lontana dalle
rassegne celebrative fatte di una parata di capolavori (anche se di
capolavori ce ne sono, e molti): si propone, infatti, come un rigoroso
percorso di ricerca condotto da Francesca Rossi, conservatore del
Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco, e da Agostino Contò,
direttore della Biblioteca civica di Verona, scaturito dal ritrovamento
in quella biblioteca di documenti appartenuti a Boccioni e lasciati alla
città dalla sorella Amelia, sposata al veronese Guido Callegari.
Di
lì è scattata, oltre tre anni fa, l’idea di intrecciare il patrimonio
ineguagliabile dei 60 disegni di Boccioni conservati al Castello
Sforzesco (che vanno dal 1906 al 1916) con due dei plichi trovati a
Verona: il primo è un atlante visivo nel quale l’artista tra il 1907 e
il 1909 raccolse in 22 grandi tavole decine e decine d’immagini
ritagliate, cartoline di opere d’arte portate dai suoi viaggi, prove di
stampa e altri materiali, organizzandoli in “costellazioni” guidate da
percorsi mentali spesso evidenti (il ritratto, la madre, la donna, i
cavalli, la solitudine, la morte…), talora invece oscuri per noi, ma
certo densi di significato per lui. Il secondo è una voluminosa rassegna
stampa composta quasi certamente con la complicità di F.T. Marinetti,
che segue fortune e sfortune critiche dell’arte visiva futurista dal
1911 al 1915 e che in mostra si accompagna ai suoi lavori di quella
stagione, dando conto dei giudizi dei contemporanei.
Materiali di
primissima mano dunque, il primo dei quali addirittura ci consente di
penetrare nel cuore di quella sua cultura visiva tanto bulimica,
irregolare e avventurosa quanto ricca e complessa, da cui Boccioni si
lasciò guidare negli anni prefuturisti, per poi respingerla
(conoscendola però a fondo, e talora lasciandola anche riaffiorare) dopo
la svolta avanguardista.
Dopo aver messo a dura prova l’acume
degli studiosi, atlante e rassegna stampa sono stati posti in dialogo
stringente con le opere: moltissime immagini dell’atlante erano prive di
didascalie o commenti e di numerosi articoli si ignorava la testata da
cui provenivano, ma in tre anni di lavoro i curatori e il comitato
scientifico sono arrivati a identificare molte di quelle opere e a
reperirle nei musei che le conservano, tanto da poterne esporre
parecchie in mostra. È il caso del rilievo del II secolo d.C., di cui
nelle carte boccioniane figura solo un particolare, raffigurante
Mnemosyne e le Muse (Mnemosyne, curiosamente, come il celebre atlante
d’immagini che Aby Warburg compilerà nel 1929): rintracciato nel museo
archeologico di Siena, ora quel rilievo accoglie i visitatori, insieme
all’Autoritratto di Brera e ai tre diari, fitti di riflessioni
artistiche e letterarie, tenuti da Boccioni tra il gennaio 1907 e
l’agosto 1908, in parallelo con la compilazione dell’atlante.
In
mostra ci s’imbatte poi nel Ritratto di Massimiliano I d’Asburgo di
Ambrogio de Predis, giunto da Vienna (lì Boccioni lo vide nel 1907) e
nel suo disegno preparatorio, da Venezia, dei quali l’atlante mostra ben
tre riproduzioni. E ci sono più fogli di Dürer, uno dei quali
appartenuto proprio a Boccioni, che del maestro tedesco era un
ammiratore tanto entusiasta («con l’autoritratto a 28 anni mi
atterrisce», «è immenso!») da evocarne il segno nel bellissimo ritratto
della madre a penna e china esposto lì accanto. Ci sono poi carte di
Odilon Redon e di Félicien Rops, con cui Boccioni nutrì il suo versante
macabro e “notturno” (Beata solitudo sola beatitudo, L’Annegato…) e
opere pittoriche, ammirate nelle Biennali di Venezia e riprodotte
nell’album, di J.-É. Blanche, Frank Brangwyn, R.E. Miller, Anders Zorn e
altri: tutti artisti, questi, poi rigettati da futurista, al contrario
di Previati, Segantini, Fornara, Medardo Rosso, da lui sempre amati e
presenti qui con opere capitali. E ci sono, in quantità, i suoi
capolavori, giunti dal contiguo Museo del Novecento, dalla vicina Gam e
da grandi musei e collezioni private italiane e internazionali.
Ordinata
cronologicamente e per nuclei tematici, la mostra è divisa tra
pre-futurismo e futurismo: nel primo, dopo le magnifiche opere
divisioniste di Balla, suo maestro a Roma (subito sostituito da Previati
all’arrivo a Milano: «Balla è finito», scriveva nel 1907), poste a
confronto quelle così affini del primo Boccioni, il percorso illustra i
temi della figura femminile, ora materna ora fatale, e del ritratto (e
autoritratto), fino al Ritratto di bimbo solo ora ritrovato e alle Tre
donne (la madre, la sorella, l’amata Ines) del 1909-1910: un dipinto
attraversato da torrenti di luce, che prelude al futurismo, la cui
ricchissima sezione si apre con il tema della città (il sublime
Crepuscolo, 1909, Officine a Porta Romana, Forze di una strada, giunto
da Osaka, Elasticità, 1912), per esplorare poi il tema della madre, fino
all’esito sconvolgente di Materia della collezione Mattioli, in cui la
figura si fonde con l’atmosfera, la luce, l’ambiente.
Alla
scultura - ben presto «un’ossessione» per lui- è dedicata una sezione
affascinante, dove i suoi tre bronzi postumi (ma anche opere di Medardo
Rosso, Archipenko, Picasso) e le fotografie d’epoca dei suoi gessi
dialogano con i meravigliosi disegni del Castello dei Dinamismi del
corpo umano, accostati ai dipinti d’identico soggetto del Museo del
Novecento, al Dinamismo di un ciclista Mattioli e ai concitati dipinti e
disegni del ciclo successivo dei Cavalli con case. Il congedo è
affidato ai ritratti estremi, volti indietro verso Cézanne, in un
percorso appena avviato e subito spezzato dalla morte.
Una
raccomandazione: sebbene la si possa apprezzare godendo semplicemente
delle sue opere, questa mostra raffinata (un po’ punita
dall’allestimento, non all’altezza a nostro parere di tanto lavoro
scientifico) chiede al visitatore tempo, attenzione e pazienza per poter
essere gustata appieno. Chi saprà dedicarglieli ne sarà abbondantemente
ripagato.