domenica 3 aprile 2016

Il Sole Domenica 3.4.16
Roma Il «Mangiafagioli» dei Colonna
di Antonio Paolucci

Il nuovo catalogo dei dipinti esposti nel fastoso palazzo è occasione per riscoprire una delle gallerie più spettacolari d’Italia in saloni mirabilmente arredati con capolavori celebri
Per i viaggiatori del Grand Tour, per Charles de Brosses come per Stendhal, la visita alle collezioni d’arte di Casa Colonna a Roma rappresentava una tappa irrinunciabile. Ancora oggi è così. Non c’è storico dell’arte o archeologo di qualsiasi parte del mondo che non desideri avere accesso al palazzo romano di Piazza Santi Apostoli. Alle attese del pubblico colto l’amministrazione Colonna ha sempre risposto con amabile generosità, aprendo il palazzo sia ai singoli studiosi che a visite guidate tradizionalmente gestite con professionalità ed efficienza. Cura costante e rigorosa veniva e viene contemporaneamente assicurata alle opere d’arte le quali hanno goduto e godono di periodiche revisioni, di manutenzione costante, di accurati restauri e, soprattutto, di studi scientifici di alto livello. Molti dei più grandi storici dell’arte italiani e stranieri, da Federico Zeri a Eduard Safarik, dal Venturi al Longhi, dal Voss all’Emiliani, hanno offerto ai dipinti Colonna, il meglio dei loro saperi.
Oggi, a oltre trent’anni dall’edizione del 1981, l’attuale principe don Prospero Colonna ha promosso, per i tipi di De Luca Editore, la pubblicazione di un nuovo aggiornato catalogo della Collezione. La storia dell’arte è una scienza in costante divenire. Si scoprono in continuazione nuovi documenti, i restauri permettono nuove letture, cresce giorno dopo giorno la bibliografia specialistica. Erano dunque opportuni la revisione e l’aggiornamento della pur ammirevole fatica condotta da Safarik nel 1981. L’incarico di un’operazione così delicata e così importante per i nostri studi è stata affidata a un team di eccellenti studiosi che, per il coordinamento di Patrizia Piergiovanni, hanno firmato le quasi trecento schede della quadreria Colonna.
Lunga e complessa è la storia della attuale collezione che ha conosciuto nei secoli, ampliamenti e parziali riduzioni. Se al tempo di Lorenzo Onofrio Colonna (metà del XVII secolo) la Galleria comprendeva 1560 dipinti nella sede romana e altri quattromila nelle dimore dei feudi, se il matrimonio di Fabrizio Colonna con Caterina Salviati nel 1718 ha fatto entrare in Piazza Santi Apostoli i tesori di quella grande famiglia fiorentina (i Bronzino, i Michele di Ridolfo, gli Allori), opere che venivano a unirsi a quelle dei pittori emiliani (Guido Reni, Albani, Carracci) collezionate dal cardinale Girolamo Colonna quando era arcivescovo di Bologna, il Trattato di Tolentino e gli effetti dell’egemonia napoleonica costrinsero la famiglia ad alienare buona parte dei dipinti per sovvenire le esauste finanze dello Stato Pontificio. Subito dopo però, nei primi decenni del XIX secolo, don Aspreno Colonna realizzava una vasta politica di acquisti che portava in Galleria molti piccoli e grandi maestri del Quattrocento: Cosmè Tura e Carlo Crivelli, Stefano da Verona e Gherardo Starnina, Pietro Alemanno e Bernardino di Mariotto, Bartolomeo di Giovanni e Nicolò Alunno fra gli altri. Del resto i Colonna (e questo ben prima che il fidecommesso pontificio diventato poi per il diritto italiano “notifica d’insieme” affermasse ciò ex lege) hanno sempre considerato le loro collezioni bene comune, inalienabile e indivisibile, motivo di orgoglio per la famiglia e per la città.
La quadreria Colonna è il campo di ricerca e di esperienza professionale più straordinario che il conoscitore possa desiderare. Si può capire perché Federico Zeri ne fosse affascinato. Ci sono dipinti che, allineati l’uno dopo l’altro, segnano snodi fondamentali della storia dell’arte: dai due preziosi Cosmè Tura (la Vergine Annunziata e la Madonna dello Zodiaco) fondamentali per capire la civiltà prospettica ferrarese dopo la metà del XV secolo al punto di incrocio fra Piero della Francesca, Donatello e i fiamminghi, ai Bronzino di provenienza Salviati; la Madonna indimenticabile per via del suo bambino fulminato dal sonno e Venere, Cupido e Satiro, quel capolavoro di algido erotismo che splendeva come un sole nero nella mostra del 2010 a Palazzo Strozzi di Firenze. Dal Mangiafagioli di Annibale Carracci dove la «pittura dal vivo» tocca, negli anni 1585-89, livelli di umanità e di verità quali neppure Caravaggio saprà raggiungere, al Guido Reni del San Francesco in preghiera documento della «seconda maniera» da pittore; la maniera luminosa, sterzata in chiaro, che il Malvasia lodava.
Ci sono dipinti che chiunque pratichi da studioso la pittura del Cinquecento non può non conoscere. Come i tre bellissimi quadri di Cecchino Salviati: il Ritratto virile, la Resurrezione di Lazzaro, il Peccato originale, come il superbo Ritratto di gentiluomo di Paolo Veronese. Ci sono dipinti che solo recentissime acquisizioni filologiche e artistiche hanno permesso di consegnare alla loro vera paternità. Penso al ritratto di profilo di Guidobaldo da Montefeltro decenne che oggi, dopo la monografia di Cecilia Martelli (2013), sappiamo essere opera certa di Bartolomeo della Gatta. Ci sono poi i quadri che chiedono solo di essere guardati per stupire ed essere felici. Ricordo, per tutti, la magnifica serie dei dodici Gaspard Dughet che raccontano i paesaggi dell’agro romano, belli come i Poussin più belli.
Galleria Colonna. Catalogo del dipinti , a cura di Patrizia Piergiovanni, De Luca Editori d’Arte, Roma, pagg. 192, € 35