Il Sole Domenica 3.4.16
Zaha Hadid (1950-2016)
Regina di forme filanti
di Carlo Ratti
La
prima volta in cui i nostri percorsi si sono incrociati è stato
all’università di Cambridge, alla fine degli anni Novanta. Insieme ad
altri studenti l’avevamo invitata a tenere una lezione serale. All’epoca
Zaha Hadid (per tutti, Zaha) godeva già di una buona reputazione, ma a
oltre 45 anni di età, non aveva ancora costruito quasi nulla. La sua
grande visione per l’Opera di Cardiff, vincitrice di un concorso
internazionale, era da poco stata bocciata come infattibile. In una
stanzetta buia, davanti a una platea sparuta, quel giorno ci ammaliò con
un repertorio infinito di immagini e forme insolite, modellini di
cartone mai passati dall’ufficio al cantiere.
Sarebbero dovuti
trascorrere diversi anni prima della sua completa affermazione. In
questo senso il nostro Paese ebbe un ruolo importante: è proprio a
partire dalla vittoria al concorso per il museo MAXXI di Roma, nel 1999,
che i progetti di Zaha iniziano ad essere ingegnerizzati e costruiti.
Sull’onda del riconoscimento internazionale, scatta un processo
fulminante che in meno di un decennio la porta a molte realizzazioni di
successo - dal Phaeno Science Centre di Wolfsburg al Terminal
intermodale Hoenheim-Nord a Strasburgo.
Quando i nostri percorsi
si incrociano di nuovo, lavorando gomito a gomito all’Expo di Saragozza
del 2008 - lei e il suo team con il Pabellon Puente, un ponte abitato e
flessuoso che attraversa l’Ebro, noi con il Digital Water Pavilion, a
poche decine di metri di distanza - era ormai una professionista
affermata, con clienti in arrivo da ogni angolo del mondo. Era da poco
stata insignita del Premio Pritzker, il Nobel dell’architettura, del
quale è tuttora la sola vincitrice donna.
Il suo carattere
tuttavia non era cambiato, e non era mai stato dei più facili. Una volta
un mio studente del MIT, ex apprendista nel suo studio, mi fece notare
un piccolo bernoccolo che aveva sulla propria testa. A suo dire quel
segno era stato procurato da uno di quei vecchi e pesanti telefoni da
scrivania inglesi, che proprio Zaha gli avrebbe scaraventato addosso in
un accesso d’ira (inutile dire che quel bernoccolo era per lui ragione
di orgoglio, e lo esibiva alla pari di una cicatrice di guerra!).
Soltanto nel settembre scorso, fece discutere la decisione di Zaha di
abbandonare in diretta un programma della BBC, a seguito di una domanda
pungente da parte dell’intervistatrice.
Al contrario del suo
carattere spigoloso, le forme che ha creato sono sinuose e filanti -
come se avesse voluto riscattare con l’architettura gli accidenti della
vita. Insieme ad altri progettisti a cavallo tra i due secoli, Zaha ha
dato il via a un’epoca di architetture fluide, in cui le superfici
scorrono, si rincorrono e ci sorprendono. Spesso partiva da dei
bellissimi disegni: canovacci che poi trasformava in materia,
dimostrando come non fossero per nulla infattibili. Ancora oggi, in un
momento in cui la professione esplora nuove frontiere legate
all’interazione digitale, il suo “barocco digitale” resta ricco di
spunti e suggestioni.
L’ultima volta in cui ci siamo visti, un
paio di anni fa a una cena a New York, già non nascondeva qualche
problema di salute. Prima dell’ultima portata, dopo aver chiacchierato
amabilmente con i commensali, si dileguò all’improvviso. Quasi senza
congedo - come in questa sua prematura e improvvisa uscita di scena.
*Architetto,
ingegnere e agit-prop, Carlo Ratti è professore presso il MIT di
Boston, dove dirige il laboratorio di ricerca Senseable City Lab. È
co-fondatore dello studio di progettazione Carlo Ratti Associati