Il Sole Domenica 17.4.16
La forza economica degli Stati
Per la supremazia europea sull’Asia fu determinante la costruzione delle istituzioni moderne
di Valerio Castronovo
Ai
giorni nostri la Cina è divenuta la principale “officina” del mondo,
come lo fu un tempo la Gran Bretagna; e l’India ha assunto, in seguito
alla rivoluzione informatica, un ruolo d’avanguardia paragonabile a
quello svolto dalla Germania durante la rivoluzione tecnico-scientifica
avvenuta tra la seconda metà dell’Ottocento e gli inizi del Novecento.
Si direbbe dunque che stiamo assistendo, nell’età della globalizzazione,
a una sorta di ritorno a un lontano passato durante il quale aveva
brillato di luce propria la stella di diverse zone del continente
asiatico.
Ma quali sono stati, dunque, i fattori che hanno reso
possibile il sorpasso dell’Asia da parte dell’Europa e un ribaltamento
perciò dei precedenti rapporti di forza? Con questo interrogativo si è
cimentata una vasta letteratura storiografica e ancor oggi il dibattito
fra gli studiosi non si è esaurito, in quanto l’ha riaperto la
cosiddetta “California School”, sostenendo che solo ai primi dell’800,
l’Europa ha potuto acquisire una posizione preminente. E ciò in virtù di
una combinazione “fortunata”, di un intreccio di fattori “casuali” e
“contingenti”, come la vicinanza alle Americhe e la disponibilità di
carbone delle contrade occidentali dell’Europa, e segnatamente della
Gran Bretagna, protagonista della Rivoluzione industriale che avrebbe
determinato infine una reale “discontinuità” di prospettive e quindi un
tangibile divario economico fra l’Europa e l’Asia.
In realtà, gli
europei costruirono man mano, a cominciare dal Cinquecento, le basi
della propria supremazia, venuta poi a piena maturazione agli albori del
XIX secolo. Non solo perché la loro economia, fin dal Cinque-Seicento,
non era affatto “secondaria” e “provinciale” rispetto a quelle di alcune
contrade dell’Estremo Oriente (come la Cina, l’India e il Giappone). Ma
soprattutto perché seppero valorizzare tanto le risorse materiali di
cui vennero in possesso con la conquista del Nuovo Mondo e lo sviluppo
dei traffici su un’incipiente scala globale, quanto un complesso di
valide cognizioni e applicazioni che si procurarono grazie all’adozione
di nuovi metodi in campo scientifico e tecnologico.
Di qui la
progressiva crescita non solo economica dell’Europa nel corso dell’età
moderna, che, pur non univoca e rettilinea, la portò infine a prendere
decisamente il sopravvento nei confronti dell’Asia.
Ad avviare e a
rendere possibile quest’ascesa fu, per tanti aspetti, l’azione
determinante dello Stato, in quanto essa espresse in pratica sia
un’esplicita volontà politica, tradottasi in determinati incentivi e
strumenti operativi, sia una cultura caratterizzata da tendenze
innovative e competitive.
Come risulta da un’approfondita analisi
di Silvia A. Conca Messina, se alcune città-stato (come Genova, Venezia e
Amsterdam) avevano già dato prova di singolare intraprendenza
nell’ampliamento dei mercati, successivamente gli Stati nazionali
(grandi o piccoli che fossero) svolsero via via, ognuno per la propria
parte, un ruolo decisivo nell’acquisizione e in un’efficiente
allocazione delle risorse, nell’organizzazione della vita economica in
funzione di alcuni obiettivi prioritari, nel rafforzamento delle
potenzialità di crescita e di traiettorie espansioniste. E ciò in base a
specifiche politiche finanziarie e fiscali, all’impiego di nuove armi
da fuoco e tattiche belliche, all’allestimento di grosse flotte navali
per l’espansione nei mari e la penetrazione in vari territori, nonché a
misure volte al miglioramento del “capitale umano”.
Per contro,
nel caso degli Stati e degli imperi asiatici, il ruolo dello Stato non
fu altrettanto rilevante. Sia perché la vastità in genere dei loro
territori consentiva ai governanti di raccogliere le entrate di milioni
di contadini, senza particolari sforzi e dover quindi ricorrere
all’acquisizione di fonti esterne di finanziamento e accumulazione
(tant’è che la Cina, considerandosi autosufficiente, interruppe sin dal
Quattrocento le spedizioni marittime d’un tempo e chiuse gran parte dei
suoi cantieri). Sia perché mancava al continente asiatico quella carica
di intraprendenza e dinamismo che contrassegnava l’Europa, in quanto
essa consisteva in un sistema politico-articolato e pluralistico,
composto di diversi Stati, ognuno dei quali con proprie ambizioni e, nel
caso di quelli giunti infine a prevalere (come Francia e Gran Bretagna)
animati da disegni egemonici e sospinti da un mercantilismo
maggiormente aggressivo.
Peraltro, come sottolinea giustamente
l’Autrice, non furono tanto il potere di coercizione e quello militare
degli Stati più forti gli elementi chiave del loro successo: bensì la
loro capacità di coniugare le prerogative di governi sempre più
centralizzati (grazie a una burocrazia civile e militare proveniente per
lo più dalla classe media), la cooperazione consensuale della nobiltà
terriera e di alcune élites urbane, e (non da ultimo) un’organizzazione
in grado di garantire l’ordine interno e la sicurezza nei confronti di
nemici esterni.
Silvia A. Conca Messina, Profitto del potere. Stato ed economia nell’Europa moderna , Laterza, Roma-Bari, pagg. 216, € 22