Il Sole Domenica 17.4.16
Così finì la Guerra fredda
di Ugo Tramballi
«L’embargo
introdotto da Carter dopo l’invasione dell’Afghanistan causò ulteriori
danni. Alle distillerie di vodka fu ordinato di tagliare la produzione
per risparmiare gli stock di cereali. Niente era più deprimente del
fatto che più di due terzi delle fattorie collettive fossero in perdita.
Le cose peggiorarono con la caduta dei prezzi mondiali di oro e
diamanti. Gorbaciov chiese ad Andropov di varare riforme radicali. A
tutti era chiaro che il bilancio nascondesse sistematicamente la
realtà». Inoltre, il 40% della produzione industriale era militare e
ignorava beni e servizi alla popolazione.
Fu l’inizio della fine
della Guerra fredda. Alla quale sarebbero seguite la fine della cortina
di ferro, del Patto di Varsavia, dell’Urss, del comunismo, del mondo
bipolare e di un ordine globale imperfetto ma rassicurante. È forse la
prima volta che un saggio ricostruisce quell’epoca drammatica ma piena
di attese, di grandi risultati e qualche illusione: certamente nessuno
ne ha scritto con la stessa cura di Robert Service docente a Oxford e
senior fellow a Stanford.
The End of the Cold War, che
ricostruisce gli anni fra il 1985 e il 91, accennando anche agli
antefatti e alle conseguenze, ha due eroi assoluti: Mikhail Gorbaciov e
Ronald Reagan; due coprotagonisti: Edward Shevardnadze e George Shultz, i
loro ministri degli Esteri; due attor giovani, subentrati a trama
iniziata: George Bush (il padre) e Boris Eltsin; alcuni attori non
protagonisti ma meritevoli di nomination: Margareth Thatcher, Helmut
Kohl, François Mitterrand, Wojciech Jaruzelsky ed Erik Honecker; uno
stuolo di cattivi: la Cia e il Kgb, il Pentagono e lo stato maggiore
sovietico, a volte le opinioni pubbliche delle due potenze.
Ma The
End non è un film. È una descrizione degli eventi e degli umori, che
narra il crescendo della vicenda con il distacco della Storia, anche se
questa Storia non è così lontana. A dimostrazione che non è il Destino
ma sono gli uomini che fanno le cose, Gorbaciov e Reagan erano in
apparenza gli eroi meno adatti a dare al mondo una speranza di pace e
prosperità così gigantesca. Il primo era cresciuto nell’apparato del
partito e fino alla fine – sua, del partito e dell’Urss – ha creduto che
il comunismo sovietico fosse riformabile. Il secondo era un
anticomunista rimasto tale fino alla sua uscita. Il cuore della vicenda
sono i vertici Usa-Urss: dal primo di Ginevra del 1985, quando i due
alieni s’incontrarono, scoprendosi; a Reykjavik ’86, quando sfiorarono
il sogno di un mondo senza armi nucleari; a Malta ’89 - questa volta con
Bush - quando fu dichiarata la fine della Guerra fredda; a Mosca ’91,
quando fu concordato «il più grande e complesso processo di riduzione
delle armi nella Storia» ma dove i protagonisti scoprirono che il mondo
non si sarebbe mai liberato delle armi nucleari, dimostratesi
paradossalmente la più efficace garanzia di pace e di equilibrio.
«The
End» non fu solo una questione di diplomazia e arsenali. «Gorbaciov
comprese che non avrebbe realizzato il disarmo senza aprire la strada ai
diritti umani». Fu questa la causa della fine dell’Urss e delle sue
alleanze. Privati del soccorso militare sovietico, uno dopo l’altro i
regimi comunisti europei crollarono. Le nuove libertà attivarono i
nazionalismi nelle repubbliche sovietiche e il disordine nella Russia.
Forse
gli americani avrebbero dovuto aiutare di più Gorbaciov. O forse niente
avrebbe potuto fermare le conseguenze. Nato per dare al mondo un
equilibrio di pace, il negoziato diplomatico-militare produsse un
vincitore e uno sconfitto. Tuttavia, le forze messe in moto da
quell’evento epico avrebbero indebolito anche il primato del vincitore.
Innescarono «diversi conflitti regionali cronici, l’intervento americano
in Afghanistan e in Medio Oriente nel XXI secolo». La Cina emerse come
grande potenza industriale e si avviò la globalizzazione delle
operazioni finanziarie.
Nel 1986, parlando ai suoi ministri,
Gorbaciov ammise che l’economia sovietica «dipendeva eccessivamente
dalle esportazioni di gas e petrolio e che erano cronicamente deboli i
progressi tecnologici e la produttività». Non sembra che sul piano
economico la Russia del XXI secolo abbia fatto molti passi in avanti.
Robert Service, The End of the Cold War – 1985-1991 , PublicAffairs,
New York, pagg. 644, $ 35