Il Sole Domenica 17.4.16
Henri Poincaré (1854–1912)
Non c’è scienza senza etica
di Henri Poincaré
Il
rispetto dei fatti e l’attacco ai pregiudizi, l’amore per la verità e
per il lavoro collettivo sono una vera palestra per la moralità umana
Spesso,
nell’ultima metà del XIX secolo, si è sognato di creare una morale
scientifica. Non ci si accontentava di vantare le virtù educative della
scienza, i vantaggi che l’animo umano ricava per il proprio
perfezionamento dal guardare in faccia la verità; si contava sul fatto
che la scienza mettesse le verità morali al di sopra di ogni
contestazione, così come ha fatto per i teoremi di matematica e per le
leggi enunciate dai fisici.
Dall’altro lato, c’erano alcuni che
della scienza pensavano tutto il male possibile, e in essa vedevano una
scuola d’immoralità. Non soltanto essa dà troppo spazio alla materia,
levandoci il senso del rispetto (perché rispettiamo soltanto ciò che non
osiamo guardare dritto in faccia), ma le sue conclusioni non
rappresenteranno forse la negazione della morale? Come ha detto non
ricordo quale celebre autore, la scienza spegnerà le luci del cielo o,
per lo meno, le priverà di ciò che hanno di misterioso per ridurle allo
stato di volgari lampioni.
Cosa dovremmo pensare delle speranze
degli uni e delle paure degli altri? Non ho esitazione a rispondere che
sono entrambe vane, le une come le altre. Non può esistere una morale
scientifica, ma non può nemmeno esistere una scienza immorale. La
ragione è molto semplice ed è, come dire, puramente grammaticale.
Se
le premesse di un sillogismo sono entrambe all’indicativo, lo sarà
anche la conclusione. Perché sia possibile mettere la conclusione
all’imperativo, è necessario che lo sia almeno una delle premesse. I
princìpi della scienza e i postulati della geometria sono
all’indicativo, e non potrebbe essere altrimenti; lo sono anche le
verità sperimentali, e alla base delle scienze non c’è e non può esserci
nient’altro. Il dialettico più astuto può giocare con questi princìpi
come vuole, combinandoli e impilandoli gli uni sugli altri: ciò che ne
emergerà sarà sempre all’indicativo, non otterrà mai una proposizione
che dica «fai questo» oppure «non fare quello», ossia una proposizione
che confermi o contraddica la morale.
Ogni morale dogmatica e
dimostrativa è dunque destinata fin dal principio a un sicuro
insuccesso; è come una macchina in cui vi siano soltanto trasmissioni di
moto e nessuna energia motrice. Il motore morale capace di mettere in
funzione tutto l’insieme di bielle e ingranaggi può essere soltanto un
sentimento.
La scienza può diventare creatrice o ispiratrice di
sentimenti? E ciò che la scienza non arriva a fare, può forse
conseguirlo l’amore che proviamo per essa?
La scienza ci mette
costantemente in relazione con qualcosa di più grande di noi; ci offre
uno spettacolo sempre nuovo e sempre più vasto: dietro le cose più
grandi che ci mostra, ci fa indovinare qualcosa di ancora più grande.
Questo spettacolo è per noi fonte di gioia, una gioia nella quale ci
dimentichiamo di noi stessi, ed è per questo motivo che essa è
moralmente sana.
Chi ha apprezzato, chi ha visto, anche solo da
lontano, la splendida armonia delle leggi naturali, è sicuramente meglio
disposto di altri a fare poco caso ai propri piccoli interessi
egoistici; costui avrà un ideale che amerà più di se stesso, e questo è
il solo terreno su cui si possa costruire un’etica. Per il suo ideale,
egli lavorerà senza risparmiarsi e senza aspettarsi alcuna delle
ricompense grossolane che invece per altri uomini sono tutto ciò che
conta.
Tanto più che la passione che lo ispira è l’amore della
verità; un tale amore non è forse di per sé un’etica? Quando avremo
acquisito l’abitudine al metodo scientifico, alla sua precisione
scrupolosa; quando avremo l’orrore di qualsiasi aggiustamento
dell’esperienza; quando ci saremo abituati a temere come il peggior
disonore il rimprovero di aver, per quanto innocentemente, truccato i
nostri risultati, e quando questo sarà diventato per noi un tratto
professionale indelebile, una seconda natura; ebbene quando tutto ciò
sarà successo, non ci porteremo forse dietro in tutte le nostre azioni
questa preoccupazione per la verità assoluta, fino a non comprendere più
cosa spinga un uomo a mentire? Non è forse questo il modo migliore per
acquisire la più rara, la più difficile di tutte le sincerità, quella
che consiste nel non ingannare noi stessi?
La scienza ci rende
inoltre un altro servizio: essa è un’opera collettiva, e non potrebbe
essere altrimenti. È come un monumento la cui costruzione richiede
secoli di lavoro, in cui ciascuno deve apporre la propria pietra, che
talvolta gli costa tutta l’esistenza. La scienza ci fornisce il
sentimento della necessità della collaborazione, della solidarietà dei
nostri sforzi e di quelli dei nostri contemporanei, e anche di quelli di
chi ci ha preceduto e di chi ci seguirà.
Se la scienza non ci
appare più impotente nei confronti dei nostri cuori e non è più
moralmente indifferente, non potrà forse avere anche un’influenza
nociva, come ne ha una utile?
I nostri animi sono un tessuto
complesso, dove i fili formati dalle associazioni d’idee si incrociano e
si aggrovigliano in tutte le direzioni: tagliare uno di questi fili del
tessuto ci espone a strappi del tutto imprevedibili. Non siamo stati
noi a tesserlo, ma è un lascito del nostro passato; spesso, le nostre
più nobili aspirazioni si trovano attaccate, senza che lo sappiamo, ai
pregiudizi più antiquati e ridicoli. La scienza distrugge tali
pregiudizi: è il suo compito naturale, il suo dovere. Ma non ne
soffriranno le tendenze più nobili, che erano legate ad antiche
abitudini?
Si sostiene che la scienza sia distruttrice; ci si
spaventa dei disastri che può generare e si teme che, là dove passa, le
società non possano sopravvivere. Non vi è però in questi timori una
sorta di contraddizione interna? Se si dimostra scientificamente
(ammesso che tale dimostrazione sia possibile) che questa o quell’altra
abitudine, considerata indispensabile per la stessa esistenza delle
società umane, in realtà non era così importante come si pensava e ci
illudeva soltanto per la sua venerabile antichità, la moralità umana ne
risulterà forse compromessa? Delle due, l’una: o l’abitudine è utile, e
allora una qualsiasi scienza ragionevole non potrà dimostrare che non lo
è, oppure è inutile, e allora non vi sarà nulla da rimpiangere.
Non
esiste, né mai esisterà, una morale scientifica nel senso proprio del
termine; tuttavia la scienza può essere, indirettamente, di aiuto alla
morale; la scienza largamente intesa non può che servirla; solo la mezza
scienza è qualcosa di temibile.