mercoledì 6 aprile 2016

Il Sole 6.4.16
Cassazione. Assoluzione per la coppia che ricorre alla maternità surrogata in Ucraina
Utero in affitto all’estero: se lì è legale non c’è reato
Pesa la scarsa chiarezza sulla doppia incriminabilità
di Patrizia Maciocchi

Roma Non commette reato la coppia italiana che fa ricorso all’ utero in affitto in Ucraina, se nel paese tale pratica è lecita. E soprattutto se la giurisprudenza non è chiara sulla punibilità degli atti commessi all’estero. I coniugi “in trasferta” non possono essere condannati per la violazione della legge 40 né per falso in atto pubblico e false dichiarazioni sulle generalità del neonato se la coppia non attesta nulla ma si limita a far redigere i documenti dai pubblici uffici di Kiev in conformità alla normativa vigente. La Cassazione (sentenza 13525) respinge il ricorso del Pubblico ministero contro la scelta del Giudice delle indagini preliminari, di assolvere due coniugi che, dopo la diagnosi di sterilità, erano ricorsi alla maternità surrogata in Ucraina, dove una donna aveva acconsentito a farsi impiantare gli spermatozoi dell’uomo insieme agli ovuli di un’anonima donatrice. La nascita era stata iscritta all’ufficio di Stato civile di Kiev che indicava, in linea con le norme interne, come genitori i due italiani. Per il Gip marito e moglie dovevano essere assolti perchè il fatto non costituisce reato, malgrado la sentenza della Corte costituzionale 162 del 2014 non abbia di fatto aperto le porte alla maternità surrogata. Gli imputati non avevano alcuna volontà di commettere un illecito tanto è vero che la loro scelta era caduta su un paese nel quale la tecnica è “sdoganata”, nei loro confronti era dunque configurabile «la causa scriminante dell’esercizio putativo del diritto». Di diverso avviso il Pm secondo il quale la maternità surrogata non è lecita e, inoltre i coniugi avevano taciuto al funzionario del consolato italiano di aver fatto ricorso alla maternità surrogata. Elemento quest’ultimo che, spiega la Cassazione che non vale ad integrare il reato di falsa attestazione (articolo 495 del codice penale) che presuppone, appunto, delle affermazioni. Ma la Cassazione valorizza soprattutto le oscillazioni giurisprudenziali sulla doppia incriminabilità.
Per i giudici è controverso se, per punire secondo la legge italiana il reato commesso all’estero, sia necessario che il fatto sia previsto come reato anche nello stato in cui è stato commesso. Stando ad alcune decisioni, infatti, il requisito della doppia punibilità scatterebbe solo ai fini dell’estradizione mentre per altre sarebbe indispensabile sempre, salvo per i casi tassativamente previsto dall’articolo 7 del codice penale. A questo punto la Suprema corte guarda a Strasburgo e precisa che la Corte europea dei diritti dell’Uomo (sentenza Contrada) ha specificato che la legge deve definire chiaramente i reati e le pene che li reprimono.
Un requisito soddisfatto se la persona sottoposta a giudizio può sapere, a partire dal testo della disposizione e, se necessario, con l’assistenza dell’interpretazione dei tribunali, quali atti sono penalmente punibili e quali no.
E nell’ipotesi di reati commessi all’estero non c’è chiarezza sulla perseguibilità. Nè aiuta la giurisprudenza. Nel 2014 la Cassazione (sentenza 24001) ha dichiarato in stato di abbandono e considerato adottabile un bambino nato in Ucraina da una madre surrogata su committenza, partendo dal presupposto che la pratica è contraria alla legge italiana per motivi di ordine pubblico. Con la sentenza di ieri si cambia rotta.