Il Sole 6.4.16
Panama Papers
Il padrone che comanda la fabbrica degli scoop
diAlberto Negri
La
fabbrica degli scoop questa volta ha battuto ogni record. Gli 11,5
milioni di file dei Panama Papers surclassano Wikileaks del 2010 e le
rivelazioni di Edward Snowden nel 2013. Da dove vengono? Sono stati
consegnati da una fonte anonima alla Suddeutsche Zeitung che li ha
condivisi con il consorzio di giornalismo investigativo. Chi è la fonte
anonima? Il suo nome non importa direbbero nei fogliettoni d’appendice,
quello che conta è invadere la stampa mondiale di rivelazioni piccanti:
miriadi di società e buona parte delle grandi banche mettono i soldi nei
paradisi fiscali mettendo al sicuro una classe politica internazionale
che fa le leggi e allo stesso tempo le aggira. Il bello che molti di
loro sono eletti democraticamente. Ma attenzione: qui nessuno è
innocente.
Chi è l’autore? Probabilmente una squadra di hacker: ma
il suo committente? Anche questo non importa: non guardiamo la cornice
né la parete dove il quadro è appeso ma quello che ci sta dentro.
L’importante è rivelare che autocrati, monarchi, politici con personaggi
della più varia estrazione, star dello sport comprese, fanno tutti la
stessa cosa: evadono le tasse e nascondono i loro guadagni. Non è per
sminuire uno scoop grandioso ma è così scandaloso scoprire che Messi fa
in maniera più raffinata quello che faceva il suo più ruspante
connazionale Maradona? Che Putin e il leader ucraino sono esportatori di
capitali allo stesso modo? Forse solleva più curiosità individuare chi
ci recapita questi faldoni e perché. Certo che il network di società
riconducibili in qualche modo a Putin è una ghiotta notizia, così come
il nutrito gruppetto di avidi leader cinesi del comitato centrale. Tutta
gente che con il comunismo non ha più niente a che fare da un pezzo.
A
questi si aggiunge il solito manipolo di monarchi musulmani che
nonostante le sfiorite primavere arabe e l’Isis stanno ancora lì, seduti
su montagne di denaro, magari per finanziare in segreto i jihadisti e
tenerli lontani dalla loro cassaforte segreta. Ma l'’slam non è sinonimo
di giustizia, di prestiti senza interessi, di profitti da condividere
con i più poveri?
Ma chi ci interessa davvero è il padrone della
fabbrica degli scoop, l’autore, e le sue motivazioni. Altrimenti tutto
questo ha un senso effimero e come tutti gli scoop per un po’ fa rumore e
poi si sgonfia nell’assuefazione generale. Senza contare che non ci
sono quasi mai conseguenze davvero rilevanti: gli evasori continueranno a
veleggiare nei mari caldi dei paradisi fiscali, con l’eccezione forse
di quelli che nelle autocrazie possono trovare giustizieri con il pelo
sullo stomaco ansiosi di sostituirli a Panama, Anguilla o nelle Cayman.
Se
questi Stati costituissero una Federazione forse avrebbero anche un
peso contrattuale sulla scena internazionale. Oppure ce l’hanno già e
facciamo finta di niente, varando leggi anti-riciclaggio che solo in
parte vengono rispettate e violate magari proprio da quelli che le
propongono. Al premier britannico Cameron forse fischiano le orecchie.
Al
contrario non si capisce perché i paradisi debbano ancora esistere,
visto che con acuminate sanzioni americane sostenute dagli europei si
tengono a bada per anni Paesi come la Russia, Iran o Iraq. Mentre in
questa rete della Mossack Fonseca troviamo la Corea del Nord e i suoi
programmi nucleari, insieme ai banditi inglesi che negli '80 rubarono
tonnellate d’oro. E pensare che a Panama gli Usa hanno fatto pure una
guerra nel 1989 abbattendo “faccia d’ananas” Manuel Noriega: Washington
occupò il canale per 10 anni prima di restituirlo. Ma qui abbiamo la
memoria corta.
A tutto comunque c’è una spiegazione: è la banalità
dell’evasione. Guardando i dati una delle sorprese più interessanti è
scoprire che in realtà gli evasori - a parte i nomi eccellenti - siamo
tutti noi o quasi. «Il 95% del nostro lavoro consiste nel vendere auto
per non pagare le tasse», afferma un partner della Mossack Fonseca.
L’altro
numero davvero rilevante è che delle 300mila società collegate alla
rete panamense più della metà avevano sedi nei paradisi fiscali
britannici, Virgin Island, Guernsey, Jersey, Isola di Man e la stessa
Gran Bretagna. In un certo senso Londra la sua Brexit l’ha già fatta da
un pezzo.
Siamo quasi certi però che la fabbrica degli scoop non
si fermerà ma il suo padrone, dall’hacker misterioso a chi lo manovra,
resterà nell’ombra. Ma questo è secondario, noi qui siamo assetati di
colpi sensazionali, quasi quanto gli esilaranti giornalisti descritti da
Evelyn Waugh in “Scoop”. Fu il primo Waugh a scoprire che Mussolini
stava per invadere l’Abissinia, telegrafò il servizio in latino per non
essere “hackerato” ma nessuno gli credette. Gli scoop oggi hanno una
funzione più politica che giornalistica: fare indignare ma non
ragionare, accreditare la versione della storia che il sistema ha i suoi
“anticorpi” e può continuare a sopravvivere. Tanto rumore per nulla.