giovedì 21 aprile 2016

Il Sole 21.4.16
Il bivio del Cavaliere e il «cadeau» a Renzi
di Lina Palmerini

La scelta su Roma è un passaggio decisivo per Berlusconi. Rinunciare a Bertolaso e convergere sulla Meloni non vuol dire solo cambiare candidato-sindaco ma ufficializzare il suo declino e aprire un’autostrada di voti per Renzi consegnando Forza Italia all’asse Lega e destra.
«Agire per il bene della coalizione», potrebbe essere questa la ragione con cui il Cavaliere dirà – ma è ancora indeciso – che abbandona il candidato sindaco di Forza Italia per confluire su Giorgia Meloni. Una scelta non facile per se stesso e pure per Forza Italia. Perché rinunciare, ora, sarebbe una resa totale all’asse più radicale del centro-destra, quello che senza troppi complimenti lo ha scaricato e costretto all’angolo in cui si trova oggi. Un momento complesso, il più duro, che comporta l’esibire a favore di telecamere il suo declino personale ma soprattutto offrire su un piatto d’argento i voti moderati di Forza Italia all’attuale premier. E Renzi si è già preparato come si è visto nel discorso di ieri al Senato in cui ha evocato due temi cari al passato del Cavaliere e del suo elettorato: l’altolà al giustizialismo e la spinta alla vocazione industriale.
Dunque non sarà semplice sciogliere il dilemma personale che è anche – o soprattutto – dilemma di chi oggi abita in Forza Italia. A complicare i tormenti dell’ex premier ci sono quelli del suo partito, spaccato in almeno due fazioni, che sanno bene di essere a un bivio. Un bivio in cui la domanda è: da che parte rientreremo in Parlamento? Svoltando a destra con Meloni-Salvini? O verso centro-destra seguendo le manovre di Verdini? Perché il test di Roma vale, in prospettiva, questa scelta.
A Milano la storia è andata diversamente, Maroni non voleva strappi e l’alleanza ha tenuto ma nella Capitale la prova muscolare dei due giovani leader fans della Le Pen ha questo senso politico ultimo. E di portata nazionale. Smembrare Forza Italia e trascinarla in un’unica lista con una marcata curvatura sulle ragioni della destra anti-europeista. Il che vuol dire mandare in libera uscita voti moderati che hanno seguito il Cavaliere su una linea più simile a quella democristiana che estremista, che non possono ritrovarsi nell’invettiva continua di Salvini contro il Papa o con l’avventura fuori dall’euro che condivide con la Meloni.
Chi in Forza Italia preme per l’abdicazione del Cavaliere a favore della Meloni, sa che il prezzo non sarà solo la leadership di Berlusconi ma la fine stessa del partito. Perché non c’è un ruolo per i “moderati” in questa versione 2.0 del centro-destra. Una volta, nella vecchia coalizione, ciascuno faceva la sua parte: Forza Italia catturava il corpaccione elettorale moderato; Bossi copriva un’area geografica specifica e un ceto socio-economico popolare; la destra parlava ai nostalgici. Oggi non c’è più un copione politico per Forza Italia perché nella alleanza con Salvini-Meloni il profilo moderato non ha senso. Non ha senso in termini di contenuti perché uscire dall’euro o attaccare il Papa non ammette sfumature o correzioni. E non ha senso perché manca un leader forte come era Berlusconi in grado di fare sintesi tra Follini, Bossi e Fini.
La scelta su Roma, insomma, vale non solo una città o un sindaco ma anche tutta una storia politica. Restare con Bertolaso, o scegliere Marchini, significa restare aggrappati a un’identità moderata ma nel breve sicuramente perdente. Invece abbracciare la Meloni vorrebbe dire perdere le proprie radici per la vittoria di un altro sperando che i nuovi Meloni-Salvini concedano seggi e strapuntini agli ex del Cavaliere. Alla fine sarà una scelta tra due sconfitte: chi è disposto a giocarsi il seggio; chi la propria storia politica.