venerdì 1 aprile 2016

Il Sole 1.4.16
Quel che serve per una tassa più giusta
di Salvatore Padula

L’Irpef è di gran lunga la più importante imposta del nostro sistema fiscale. Lo è perché riguarda oltre 40milioni di contribuenti, praticamente due cittadini su tre. E lo è anche perché proprio dall’«Imposta sul reddito delle persone fisiche» arriva la fetta più consistente delle entrate dello Stato e una parte non trascurabile di quelle delle autonomie locali. Continua L’Irpef garantisce all’Erario oltre il 40% del gettito, pari a 176 miliardi nel 2015, che diventano 191,5 se si sommano anche 15,5 miliardi tra addizionali regionali e comunali. Naturalmente, ci sono anche altri elementi che rendono l’Irpef un’imposta speciale, come bene suggeriscono le statistiche del Dipartimento delle Finanze. In primo luogo, essa continua a essere un’imposta marcata dalla prevalenza di lavoro dipendente e pensioni, dai quali giunge quasi l’80% del reddito dichiarato. È un tributo sensibile sotto il profilo geografico, con l’effetto di riproporre l’immagine non già dell’”Italia delle tasse” ma piuttosto delle “due Italie delle tasse”, a conferma delle enormi differenze che permangono tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno. Un solo esempio: in Lombardia si dichiara un reddito medio di 24mila euro; in Calabria si superano di poco i 14.500 euro.
Le statistiche, come sappiamo, possono talvolta restituire un’istantanea distorta della realtà. Così, per esempio, continua a essere difficile credere che solo l’1% dei dichiaranti possa avere un reddito oltre i 100mila euro. Ma d’altra parte, i dati del fisco dicono che i contribuenti sono molto concentrati nelle fasce basse: tre su quattro dichiarano meno di 26 mila euro; e non è irrilevante il fatto che solo il 5% dei contribuenti abbia guadagni superiori a 50mila euro ma si accolli ben un terzo dell’imposta versata.
Sono elementi che vanno valutati con attenzione, visto che il governo ha più volte ribadito di voler mettere mano all’Irpef, presumibilmente nel 2018.
Che cosa ci deve aspettare? Forse è giusto “volare alto” e provare a immaginare non solo un intervento sacrosanto per rimodulare aliquote e scaglioni e per rendere il prelievo meno pesante sulle fasce medie che oggi appaiono particolarmente colpite. Sono le stesse fasce un pO’ “ignorate” in occasione dell’arrivo del bonus da 80 euro (una delle storture del sistema).
La verità è che l’Irpef, nata come imposta semplice, immediata, intuitiva, è via via diventata un’imposta difficile da gestire. Il sistema di scaglioni e aliquote marginali e il suo mix con detrazioni d’imposta decrescenti, finisce per complicare ulteriormente le cose e restituire un sistema che non brilla per equità, trasparenza e semplicità (se ne sono ampiamente occupati sulla voce.info sia Paladini e Visco, sia Borri, Reichlin e altri).
Non molti giorni fa anche la Corte dei conti ha indicato alcune criticità sulle quali qualcosa dovrà essere fatta. Il fenomeno delle agevolazioni, a esempio, in crescita nonostante le buone intenzioni di riordino, che tra sgravi e sconti finisce per minare ancor di più il principio della progressività dell’imposta. C’è poi da osservare un fenomeno che la Corte ha definito la “fuga dall’Irpef”, ovvero il proliferare di regimi alternativi di tassazione - dalla cedolare ai minimi. Un fenomeno che finisce per diventare una sorta di “scorciatoia” a favore di questa o quella categoria, e che mina l’efficacia redistributiva dell’imposta.