Il Sole 17.4.16
Brasile. Per Rousseff il giorno del giudizio
Oggi la Camera vota sull’impeachment
Necessaria la maggioranza dei due terziLa presidente è accusata di aver falsificato i bilanci dello Stato
Tensione nel Paese già piegato dalla crisi economica
di Roberto Da Rin
Brasilia
Si chiama «o muro do Impeachment». È la barriera di acciaio eretta per
separare le due fazioni, pro e contro Dilma Rousseff. Evitare la
violenza, è questo l’imperativo della polizia. Un dispiegamento di forze
senza precedenti in una città avveniristica, l’unica al mondo costruita
nel Ventesimo secolo e riconosciuta dall’Unesco come patrimonio
dell’umanità. Nessun sociologo brasiano avrebbe mai immaginato che nel
Paese definito dagli inglesi «quello delle 5 S» (samba, sand, sex,
soccer, sun) la politica potesse assurgere a un così alto livello di
attenzione mediatica e passione civile.
È una giornata campale
quella che il gigante Brasile si appresta a vivere oggi: il voto della
Camera potrebbe sancire l’inizio della fine del Governo di Dilma
Rousseff. Il numero chiave è 342, ovvero i voti necessari per avviare il
procedimento di impeachment contro la Rousseff. Se i due terzi della
Camera diranno sì, e se il Senato nei prossimi giorni lo confermerà,il
Paese entrerà in una lunghissima quarantena (di 180 giorni) per
consentire alla presidenta di difendersi.
Il vulnus di cui pare si
sia macchiata Rousseff è la falsificazione di alcuni bilanci dello
Stato, nel 2014 e nel 2015. Un’operazione che la Corte dei conti ha
definito irregolare. La presidenta nega ogni addebito e riconduce gli
attacchi a una logica golpista mirata a delegittimare il suo Governo
senza passare dalle urne.
Al di là degli schieramenti in campo,
l’unico fatto incontrovertibile è l’alto livello di corruzione, una
piaga che colpisce il Paese e produce effetti ben più devastanti del
virus zika o del dengue. Problemi peraltro sul tappeto a meno di quattro
mesi dall’inizio delle Olimpiadi di Rio de Janeiro. Un appuntamento che
darà grande visibilità alla cidade maravilhosa, ma anche il rischio di
un flop: la baia di Guanabara, dove si svolgeranno gare di canoa e vela,
non è stata bonificata e alcune federazioni internazionali hanno già
espresso grande preoccupazione.
L’impeachment è la faccia
politico-costituzionale di un prisma che ne mostra altre, altrettanto
gravi. Quella di una crisi economica che si protrae da tre anni e quella
politico-giudiziaria, su cui il giudice Sergio Moro, ispirato da Mani
Pulite, cerca di fare chiarezza con una inchiesta che prefigura un
intreccio di irregolarità: le imprese di costruzione più conosciute
versavano tangenti a Petrobras (il colosso energetico del Paese), che a
sua volta finanziava il Pt (Partito dei lavoratori) di cui l’ex
presidente Lula è sempre stato un esponente di spicco. Insomma una vera e
propria tangentopoli che ha condotto all’arresto temporaneo, un mese
fa, proprio di Lula. La motivazione è quella di presunti arricchimenti
illeciti. Anche se l’inchiesta di Moro è stata definita «a orologeria»,
proprio perché scattata dopo l´annuncio del Governo di Brasilia che
diffondeva dati congiunturali pessimi: -3,8% il Pil del 2015 e -3,4% le
previsioni per il 2016.
È qui che si innesta il capitolo
economico: il dato 2015 è il peggiore degli ultimi 25 anni. Nel 1990 il
Pil scivolò del 4,3 per cento. Le maggiori cadute sono state registrate
nei settori industriale (-6,4% dell’output) e minerario (-6,6%). Alle
prese con un’inflazione al 10%, l’economia brasiliana patisce il tonfo
dei prezzi delle materie prime di cui il Paese è forte esportatore e il
rallentamento della domanda cinese, così come l’instabilità valutaria e
la fuga di capitali che nel corso degli ultimi due anni hanno investito
varie economie emergenti.
Pensare che il boom del Brasile, solo
pochi anni fa, pareva inarrestabile: era la «B» dell’acronimo Brics, che
indicava i Paesi (in compagnia di Cina, India, Russia e Sud Africa) più
promettenti. In realtà dietro il boom economico, favorito anche dalla
politica monetaria ultra-espansiva della Fed che faceva affluire grandi
quantità di capitali nel Paese, si celavano squilibri crescenti.
Il
primo punto di debolezza era la centralità dei consumi, favoriti in
modo eccessivo nello schema macrofinanziario, agli investimenti. Quindi
una crescita un po’ drogata anche dalla Fed che stampava moneta: i
grandi fondi investivano sugli alti rendimenti offerti in Brasile.
Ora
la festa è finita. E in queste ore a Brasilia, dopo gli anni del grande
boom si vive la quintessenza di una grande crisi politica, economica e
finanziaria. Forse forse, tutto torna. I brasiliani, di se stessi,
dicono: grandeza è beleza.