il manifesto 17.4.16
Rousseff, oggi il voto d’impeachment
Brasile. Il voto della Camera e di parlamentari inquisiti
di Geraldina Colotti
E'
attesa per oggi la decisione del Parlamento brasiliano sull'impeachment
alla presidente Dilma Rousseff. La discussione ha preso avvio venerdì,
dopo la bocciatura della richiesta di archiviazione presentata dai
difensori di Dilma. La presidente ha già perso pezzi importanti (e
neoliberisti) dell'alleanza governativa: a partire dal centrista Pmdb, a
cui appartengono sia il presidente della Camera, Eduardo Cunha, che
l'attuale numero due di Rousseff, il vicepresidente Michel Temer,
destinato a sostituirla qualora venisse sospesa dall'incarico per 180
giorni. Un'eventualità possibile se 2/3 dei deputati votano per la
destituzione e il Senato la conferma a maggioranza semplice. Anche la
quarta forza dell'alleanza, il Pp, ha abbandonato la presidente. Di
recente, è stato diffuso per errore un audio in cui Temer declama il suo
discorso da nuovo presidente. Ma Temer è anch'egli a rischio di
impeachment per “delitto di responsabilità”: per aver truccato i conti
del governo, nascondendo lo stato reale del deficit esistente. Le stesse
accuse rivolte alla presidente, benché abbellire il bilancio prima
delle elezioni sia prassi corrente in Brasile.
Dopo Temer, il
comando toccherebbe a Cunha: anima nera di tutta la macchinazione e
culmine di una matrioska di affarismo e corruzione che coinvolge oltre
303 parlamentari su 513 e 49 senatori su 81 in processi per malaffare.
Anche il presidente del senato, Calheiros è indagato per le tangenti di
Petrobras. L'ex presidente, Fernando Collor, che ha rinunciato durante
uno scandalo per corruzione sfociato su un processo di impeachment nel
1992, è indagato per aver intascato milioni di dollari per tangenti.
Circa 150 tra politici e funzionari risultano implicati nella
tangentopoli brasiliana (Lava Jato, relativa alla corruzione della
compagnia petrolifera di stato, Petrobras). I grandi media hanno però
sparato solo il coinvolgimento del Pt. Qualcuno, come l'ex poliziotto
Eden Mauro - il deputato più votato nello stato di Para, nel 2014 -, è
inquisito dal Tribunal Federal per torture su un bambino e suo padre.
Cunha
è un personaggio potente, accusato di riciclaggio di denaro sporco e
altri reati gravi. Su un suo conto segreto in Svizzera sono stati
trovati oltre 5 milioni di dollari. Ora sta cercando di farla franca, o
di vendicarsi. Ma anche il presidente del Senato, Renan Calheiros, a cui
toccherebbe l'incarico in terza battuta, è a sua volta inquisito...
E
intanto è battaglia di numeri e di piazza tra destra e sinistra. Perché
il giudizio politico venga respinto, sono necessari 172 voti, per
approvarlo 342. Ieri, il fronte pro-impeachment ha perso due punti: il
vicepresidente della Camera, Waldir Maranhão ha annunciato di aver
cambiato opinione e di voler votare contro, mentre la parlamentare
Clarissa Garotinho ha chiesto un permesso per maternità, per cui non
potrà votare domenica.
Oltre le alchimie istituzionali, c'è però
la pressione delle piazze: quelle attizzate dalle destre, che spingono
per liberarsi dei governi progressisti e per riportare il paese nella
morsa dei poteri forti (e che invocano anche l'intervento dei militari);
e quelle delle organizzazioni popolari che chiedono alla presidente e
al suo Partito dei lavoratori (Pt) di svincolarsi dai ricatti di una
coalizione-capestro e di imboccare il cammino delle riforme strutturali,
in primo luogo la riforma agraria. Le sinistre d'alternativa,
dall'inizio della settimana sono accampate a Brasilia per accompagnare
la presidente e per rispondere all'offensiva conservatrice, che prende
le forme di un “golpe suave”, un golpe istituzionale. Una manovra simile
a quella attuata contro l'ex presidente dell'Honduras, Manuel Zelaya e
contro Fernando Lugo in Paraguay. Una strategia-format che è scattata in
diversi paesi dell'America latina per incunearsi nelle crepe dei
governi socialisti minandone la credibilità. In Venezuela, dopo la
vittoria di Maduro con scarso margine sul suo avversario di
centro-destra, Henrique Capriles, è partita una campagna internazionale
per contestare la validità del sistema elettorale altamente
automatizzato, certificata ogni volta da una pletora di osservatori
internazionali. Una campagna durata fino a poche ore prima che si
conoscessero i risultati delle ultime legislative, che hanno dato la
vittoria all'opposizione. Da quel momento, c'è stato il plauso della
“comunità internazionale”, il cui amore per le regole democratiche
votate dai cittadini è immediatamente scomparso di fronte al disprezzo
che mostrano le destre per la costituzione, dal Venezuela all'Argentina,
al Brasile.
La battaglia contro Rousseff, che ha vinto di misura
il suo secondo mandato, viene così condotta in nome della lotta alla
corruzione: dimenticando che, 35 su 38 esponenti della Commissione che
ha votato per l'avvio all'impeachment sono indagati proprio per quel
reato. In un periodo di vacche magre e di drastica caduta del prezzo del
petrolio, per i poteri forti è importante recuperare il terreno perso
con il welfare prodotto dai governi progressisti. Ieri, gruppi di
manifestanti pro-Dilma hanno bloccato le strade. In campo, anche l'ex
presidente brasiliano, Lula da Silva, a sua volta sotto attacco per aver
annunciato di volersi candidare nuovamente alle elezioni del 2018.
Ieri,
Rifondazione comunista, Altra Europa con Tsipras, Giuristi democratici
hanno indetto un presidio di solidarietà a Roma, a Piazza Navona.