sabato 16 aprile 2016

Il Sole 16.4.16
Pechino detta legge anche per il legname Usa
di S.Bel.

L’industria forestale statunitense, una delle più antiche, che risale all’epoca dei primi coloni europei, dipende ormai a filo doppio dalla Cina e più in generale dall’Asia, che insieme assorbono quasi il 60% delle esportazioni di legni duri dagli Usa. È una trasformazione significativa quella descritta da Mike Snow, direttore esecutivo dell’American Hardwood Export Council (Ahec), che ha incontrato il Sole 24 Ore a Milano in occasione della Design Week.
L’Italia in particolare ha perso peso negli ultimi anni come mercato di destinazione. «È ancora importante e dopo tanto tempo oggi finalmente vediamo qualche segno di risveglio della domanda, anche se la forza del dollaro ci svantaggia - afferma Snow - Oggi però l’Italia conta meno di un tempo. Fino al 2007 era il nostro maggiore mercato in Europa e il terzo nel mondo. Inoltre dettava legge in termini di stile. Adesso è al sesto posto, superata in Europa dalla Gran Bretagna, forse anche perché?la sterlina si è svalutata meno rispetto al dollaro».
Il vero fenomeno è comunque la Cina. «A determinare i prezzi del legname - osserva Snow - non sono più le costruzioni di nuove case negli Usa, ma la domanda cinese, che è esplosa dall’inizio dello scorso decennio, quando Pechino oltre ad accelerare la crescita economica ha introdotto una moratoria sul taglio delle foreste». Oggi si dirige in Cina oltre la metà dell’export di latifoglie dagli Usa, che a sua volta è cresciuto moltissimo. «L’estensione delle nostre foreste è raddoppiata in 50 anni - racconta Snow - e negli ultimi 10-15 anni la quota di legni duri esportati è salita dal 15% a oltre la metà».
L’anno scorso la Cina, pur rallentando leggermente gli acquisti, ha rappresentato il 46,6% del valore dell’export Usa, che a livello globale ha superato 2 miliardi di dollari, il secondo miglior risultato nella storia. Contando anche il Sudest asiatico, in particolare il Vietnam, si sale al 57,1%. Le esportazioni verso l’Europa valevano invece appena 277 milioni, in calo del 9,9% rispetto al 2014, quelle in Italia 43,3 milioni (-22%).