Il Sole 16.4.16
La Cina cresce, obiettivo sostenibilità
Pechino deve puntare su una maggiore qualità del suo sistema economico
di Giuliano Noci
La
crescita del Pil cinese (+6,7%), è notizia di ieri, è un dato
apparentemente incoraggiante in quanto si inserisce perfettamente nella
forchetta obiettivo (+6,5%-7%) definita dall’Assemblea del Popolo lo
scorso marzo. I dati mensili evidenziano, in particolare, che l’economia
è accelerata in misura significativa questo marzo dopo una debole
partenza ad inizio anno. La crescita del settore dei servizi (+7,6%)
continua ad essere superiore a quella dell’industria (+5,8%).
E
così, apparentemente, la Cina sembra attestarsi nel corridoio di
crescita pianificato dalla sua leadership e il mondo può tornare a
tirare un respiro di sollievo: il motore economico globale con più
cavalli è ritornato in carreggiata. Tutto a posto dunque? Niente
affatto. Il tema chiave riguarda la sostenibilità di medio periodo di
questo percorso di crescita e una lettura più dettagliata dei dati
pubblicati non ci può fare dormire sonni tranquilli. Le ragioni sono
molteplici. In primo luogo, vi è da considerare che il risultato del
primo trimestre è stato ottenuto grazie al combinato disposto di una
forte crescita degli investimenti in asset fisici (+10,7%) e la
concessione di un ammontare enorme di credito al sistema industriale
(nel solo mese di marzo sono stati concessi nuovi debiti per 351
miliardi di dollari ). Hanno subito poi una improvvisa accelerazione sia
le vendite immobiliari (+33% nei primi tre mesi dell’anno) sia i nuovi
investimenti in proprietà immobiliari (+6,2%).
Segnali, in altre
parole, che evidenziano come in questo momento l’economia cinese sia
sotto l’effetto di una piuttosto vigorosa politica di stimolo ed il
rischio è che la crescita di breve periodo possa creare ulteriori
criticità sulla esigibilità dei debiti di medio-lungo periodo. Il piano
di azione adottato è in altre parole simile a quella avviato da Hu
Jintao nel 2008 quando in un momento di grave crisi si utilizzò il
bazooka del denaro facile.
Una strada, quella intrapresa,
probabilmente inevitabile nel breve – la Cina non può permettersi di
abbassare in misura troppo significativa la sua crescita – ma che
richiede di essere accompagnata da altre misure. Insistere in politiche
di stimolo che agiscono sul fronte dell’offerta non può che tradursi in
nuova capacità produttiva in eccesso. Già oggi il Partito cerca
faticosamente di combatterla attraverso la riorganizzazione del sistema
dell’offerta – secondo una logica di stampo reaganiano - ma il risultato
ed il rischio sono di creare una massa impressionante di disoccupati.
Che
cosa fare dunque? Una premessa prima di tutto: la Cina detiene ancora
oggi riserve monetarie enormi, che possono essere messe in circolazione;
ha avuto negli ultimi anni deficit di bilancio inferiori al livello di
crescita della sua economia e il premier Li Keqiang ha fissato un
deficit-obiettivo per il 2016 pari al 3%. Da qui occorre partire per
adottare una politica più aggressiva di deficit fiscale orientata alla
creazione di infrastrutture immateriali indispensabili per il Paese.
Introduzione
di un sistema di welfare e sanitario efficaci in primis: per
incentivare il livello di propensione al consumo delle persone, che ad
oggi risparmiano molto nella prospettiva di una vecchiaia insicura e
molto dispendiosa. Altrettanto importante è il sistema educativo nelle
sue differenti articolazioni: per formare così maestranze in grado di
far fronte alle nuove esigenze di imprese sempre più impegnate nella
realizzazione di prodotti a maggior contenuto di valore aggiunto, visto
che i costi della manodopera non sono più sostenibili; per fare in modo
che le università cinesi siano in grado di produrre laureati all’altezza
di un sistema industriale sempre più alla ricerca di innovazione; per
supportare l’agricoltura nel decisivo passaggio verso livelli di
automazione maggiori. È infine fondamentale lavorare sul rafforzamento
della capacità normativa delle istituzioni del Dragone: per la sicurezza
alimentare e dei farmaci, la piena affermazione dei diritti di
proprietà intellettuale, solo per fare alcuni esempi.
Si osservi
peraltro che l’incentivazione alla spesa e la creazione di una nuova
forza lavoro in grado di far fronte autonomamente ai propri bisogni, e
di creare così nuova domanda, produce due benefici: riduce
significativamente l’intensità delle riforme necessarie dal lato
dell’offerta (proprio perché gli interventi dal lato della domanda
ridurranno l’eccedenza di output del sistema industriale) e può creare
lo spazio per il Politburo per azioni volte a ridurre il degrado
ambientale, migliorare la qualità della vita nelle città e ridurre la
diseguaglianza che ancora attanaglia l’ex Impero di Mezzo.
In
conclusione, vista in questa prospettiva, la Cina deve introdurre una
forte discontinuità rispetto al suo recente passato. Un cambiamento
necessario perché per la prima volta si affaccia una crescita a
disoccupazione e disuguaglianze crescenti. E non deve certo imparare
dall’Unione Europea; una crescita sostenibile vale bene infatti qualche
punto di percentuale in più di deficit di bilancio. In questo modo, si
possono creare i fondamentali per una Cina che puntando sulla qualità
della sua economia e della società diventi stabilmente – grazie anche
all’enorme dimensione del suo mercato e della sua industria – un
affidabile motore economico del Pianeta. Leggendo il XIII° piano
quinquennale recentemente approvato possiamo certo nutrire qualche
speranza.