Il Sole 14.4.16
Le tre scommesse in campo per tre leader in cerca di legittimazione
di Lina Palmerini
Domenica
c’è già un primo passaggio alle urne, il referendum sulle trivelle, e
per quanto non significativo ai fini della tenuta del Governo sarà
comunque una spia. E dunque, ieri, non è mancato il presidio dei tre
leader sull’elettorato. Renzi a Milano ha parlato al Salone del Mobile
e, poi, online con i cittadini. È tornato sulla riforma costituzionale,
ha detto che non cambierà l’Italicum, che entro il mese avremo la legge
sulle unioni civili e ha parlato di un Paese che non deve essere
bloccato dalla lotta politica. Dalle sponde opposte anche gli sfidanti
hanno fatto la loro parte.
Salvini è rimasto sul suo cavallo di
battaglia – l’immigrazione – prendendo come bersaglio polemico Papa
Francesco e il suo viaggio a Lesbo tra i migranti: «Tra un po’ saremo
profughi in casa nostra», scriveva mostrando un disappunto meno
scomposto del solito. E Luigi Di Maio, insieme a Di Battista, dopo la
morte di Casaleggio prometteva «non molleremo di un centimetro»
rilanciando la lotta alla corruzione e annunciando un blitz a Siena tra i
risparmiatori truffati dalle banche. Questi sono i terreni scelti dagli
sfidanti e ciascuno di questi corrisponde a una scommessa: Renzi che le
decisioni del Governo si sentano (positivamente) nella società, i
grillini che continuino le inchieste della magistratura, Salvini che
arrivi l’onda degli sbarchi dalla Libia.
Ma se i temi sono chiari
l’ascesa di tutte e tre le leadership corre su una strada piena di
buche. Lo è quella di Renzi che deve confrontarsi non solo con la
complessità dei problemi ma con una lotta interna che non si è sopita.
Un fuoco amico pronto a farsi sentire già lunedì prossimo, se il
referendum sulle trivelle dovesse superare il quorum, e con più forza
dopo le amministrative. Stesso percorso accidentato per i 5 Stelle anche
se Di Maio è in prima fila per prendere la guida del Movimento, non
tutto sarà in discesa. I contraccolpi della morte di Casaleggio si
vedranno, anche in questo caso, dopo le amministrative. Pure per i
grillini arriverà il momento dell’analisi del voto, come si chiama in
politichese la messa in stato d’accusa dei vertici di un partito quando
le elezioni vanno male. Un’operazione facilitata dall’assenza del leader
carismatico che in passato aveva retto all’urto delle flessioni dei
consensi proprio per il suo ruolo indiscusso di guida spirituale non
solo politica. Di Maio invece si ritroverà a un “tu per tu” con i voti,
senza scampo. La candidata a Roma, Virginia Raggi, porta il peso di un
test che ha valenza nazionale ma non sarà a lei che verrà addebitata la
sconfitta o attribuito il merito. La Capitale sarà la prova generale di
una successione che sulla carta, oggi, è nelle mani di Luigi Di Maio.
Roma
e anche Milano. Lo sa bene Salvini che sulle amministrative ha
scommesso un bel po’. Forse troppo visto che non ha seguito una
strategia unica ma ha rotto la coalizione di centro-destra a Roma e
Torino mentre ha accettato di aggregare tutti a Milano. Le sue scelte
verranno misurate voto per voto non solo da tutto il centro-destra ma
all’interno stesso della Lega. Si sa che alcune mosse non sono state del
tutto condivise da una parte del Carroccio, in primo luogo da Roberto
Maroni. E soprattutto a Salvini verranno messe in conto le troppe
contraddizioni della sua strategia. Aveva detto mai con Alfano e a
Milano il partito di Alfano è un alleato. Aveva tuonato contro il
Governo Monti-Fornero e a Milano è in coalizione con Corrado Passera, ex
banchiere ed ex ministro di quel Governo. La vittoria spazzerà
l’incoerenza ma la sconfitta no.