Il Sole 14.4.16
Il Caso Regeni
L’autunno di Al Sisi (e di un copione usurato)
di Alberto Negri
Dopo
i tragici equivoci delle primavere arabe è arrivato l’autunno di un
generale sempre più nervoso perché l’assassinio di Giulio Regeni sta
diventando per lui un minaccioso caso internazionale e interno, non
soltanto una questione bilaterale con l’Italia. Ma il
generale-presidente Al Sisi a quanto pare conosce soltanto copioni
usurati estratti dai manuali dei raìs che lo hanno preceduto e sono
stati sbalzati dal potere.
Tutti colpevoli e nessuno responsabile,
è questa la linea di Al Sisi sul caso Regeni quando accusa oscure forze
“malvage” e cospiratrici: ma come ogni autocrate in seria difficoltà
rivolge la sua ira contro i media egiziani, accusati di avere creato il
problema imputando agli apparati di sicurezza egiziani la tortura e
l’uccisione del giovane ricercatore italiano.
I media sbagliano e a
volte emettono sentenze anticipate ma qualcuno dovrebbe informare il
generale-presidente, amante della divisa e degli occhiali scuri, che ci
sono dei precedenti gravi per sospettare i servizi egiziani. In meno di
un anno ci sono state 500 sparizioni forzate, alcuni degli scomparsi
sono stati ritrovati morti e torturati. E mai la polizia ha ammesso di
essere implicata anche quando c’erano testimonianze evidenti del suo
coinvolgimento. Il generale dice di volere giustizia ma ama soprattutto
la “sua” giustizia: i tribunali militari, di cui lui stesso ha ampliato
le competenze con decreto presidenziale, mettono alla sbarra migliaia di
cittadini egiziani anche se non hanno commesso reati contro le Forze
armate. Si celebrano processi con 300 accusati: un numero francamente
esorbitante.
I media egiziani sono certamente colpevoli di fare il
loro lavoro, nonostante Al Sisi. Secondo il giornale Almasry Alyoum il
procuratore generale Nabil Sadeq, durante il colloquio con il suo vice
Mostafa Soliman, di ritorno dall’incontro con i pm italiani a Roma, ha
detto che il caso non è più di sua competenza: è ormai una questione
diplomatica. Insomma gli investigatori incrociano le braccia e si
rimettono al potere politico, cioè al generale: deve decidere lui se
presentare davvero le prove agli inquirenti italiani.
Al Sisi se
la prende con i social network le cui notizie non sono oro colato ma
rappresentano la novità all’alba del millennio, l’unico mezzo rimasto a
una società civile imbavagliata per esprimersi: è comprensibile che a un
uomo d’ordine come lui non piacciano la pluralità di opinioni e questo
“disordine” mediatico che sfugge la censura. Tanto più quando sono gli
stessi giornali ritenuti filogovernativi ad avanzare dubbi sulle
versioni ufficiali del regime, come ha fatto Al Arham criticando
l’opacità del ministero degli Interni.
Nonostante l’ostinazione
del generale e l’omertà, il caso Regeni continua a mettere in difficoltà
il regime. In particolare agli occhi dell’opinione pubblica egiziana.
Anche i media che lo hanno sostenuto durante il colpo di stato del 2013
ora discutono la sua strategia: comincia a farsi sentire il peso
dell’eventuale rottura totale con l’Italia, il Paese che per primo in
Europa lo aveva sdoganato. Persino moderati come il magnate Naguib
Sawiris, che ha incontrato il presidente della Commissione esteri della
Camera Fabrizio Cicchitto, ha affermato che sul caso Regeni «l’Italia ha
ragione al 100 per cento».
Le pressioni sul governo egiziano non
sono soltanto dell’Italia. Il caso è arrivato a Strasburgo con un
incontro tra eurodeputati e una delegazione di parlamentari egiziani
mentre il Foreign Office britannico ha chiesto verità e giustizia per il
ricercatore italiano che lavorava per l’Università di Cambridge. Anche
Al Sisi forse si rende conto, giorno dopo giorno, che non basta
abbracciare il re saudita Salman e intascare qualche decina di miliardi
di dollari per sentirsi al sicuro.
La verità su Regeni non è solo
un caso giudiziario e di onore dell’Italia. È una questione politica
internazionale: tocca problemi come la tortura, le sparizioni dei
dissidenti, il ruolo del diritto internazionale, il senso dei rapporti
economici con nazioni che hanno una forte contesa politica interna, la
libertà della ricerca universitaria, l’importanza dell’informazione
libera, la tutela dei diritti e molto altro ancora. Ma nel manuale dei
raìs queste fastidiose faccende non sono contemplate: o si aggiorna il
manuale o si aggiorna anche il generale.