lunedì 11 aprile 2016

Il Sole 11.4.16
La doppia incognita dei conti italiani
di Dino Pesole

I tempi sono imposti dal calendario europeo. E dunque vanno rispettati, anche quando, come nel caso del Documento di economia e finanza approvato venerdì scorso dal Consiglio dei ministri, si tratta di documenti programmatici che si basano su variabili macroeconomiche a forte rischio di nuove, drastiche oscillazioni. Arduo prevedere ad aprile a quale livello effettivo si attesterà l’asticella della crescita nel 2016, ora fissata all’1,2% rispetto all’1,6% del settembre 2015, quando quasi tutte le variabili esogene mettono in luce un drastico peggioramento della congiuntura internazionale. Dal rallentamento della Cina e delle economie emergenti al perdurante rischio che il livello dei prezzi si attesti in Europa a un livello assai distante dal target del 2% cui punta la manovra di politica monetaria della Bce. E ancora, dalle tensioni geopolitiche innescate dal terrorismo e dall’emergenza migranti al crollo dei prezzi delle materie prime e alla volatilità dei mercati. Intanto, dopo l’Ocse e in attesa che si pronunci Bruxelles, il Fmi sta per rivedere al ribasso le previsioni della crescita mondiale, nel gennaio scorso attestate al 3,4 per cento.
L’incertezza che investe il “denominatore” (il Pil) e che rinvia di fatto la definizione di una cornice macroeconomica di riferimento più definita a settembre, quando il Def verrà rivisto con la rituale Nota di aggiornamento, si trasferisce direttamente sulle altre fondamentali variabili: debito e deficit, prima di tutto, che il Def fissa al momento rispettivamente al 132,4% e al 2,3% per quanto riguarda l’anno in corso. Con un’alea di incertezza che quest’anno è ancor più marcata rispetto agli esercizi precedenti: di fatto, il Governo presenta ora a Bruxelles un set di previsioni, sia sul 2016 che per gli anni a venire, senza avere ancora piena certezza sulla tenuta effettiva dei saldi definiti dalla legge di Stabilità approvata quattro mesi fa dal Parlamento. È l’ennesimo paradosso delle complesse liturgie contabili europee, da aggiornare con urgenza.
Per riassumere: a novembre la Commissione Ue ha di fatto rinviato alla primavera il suo giudizio finale sulla legge di Stabilità. Manovra – lo ricordiamo – che ha già incorporato nei suoi saldi ben 16,5 miliardi di flessibilità europea. Se escludiamo i 6,4 miliardi già accordati un anno fa grazie alla clausola sulle riforme, sono tuttora formalmente sub iudice sia l’ulteriore 0,1% della stessa clausola invocata dal Governo (1,6 miliardi), sia i circa 5 miliardi della clausola sugli investimenti. E non è finita qui, poiché nel passaggio parlamentare della scorsa legge di Stabilità è stato aggiunto un altro 0,2% (3,2 miliardi) da utilizzare in virtù della cosiddetta clausola migranti/sicurezza. Stando a quanto ha stabilito il Comitato economico e finanziario della Ue il 30 novembre dello scorso anno (e l’8 dicembre l’Ecofin ne ha preso atto), la «deviazione cumulata» rispetto all’obiettivo di medio termine (il pareggio di bilancio), concessa grazie alle varie clausole di flessibilità, non può eccedere lo 0,75% del Pil. Quindi, se andrà bene, sarà questa l’entità dello “sconto” che verrà concesso. Sarebbero fuori a quel punto i 3,2 miliardi della clausola migranti. E non a caso si prospetta per l’anno in corso una correzione “amministrativa” in corso d’opera di pari entità, utilizzando in gran parte i maggiori incassi attesi dalla «voluntary disclosure».
Il tutto proprio nel momento in cui il Governo, con il nuovo Def, si accinge a chiedere a Bruxelles di far salire il deficit del 2017 di almeno un punto rispetto al programmato 1,1 per cento. Nuova flessibilità, dunque, che servirebbe per gran parte a disinnescare l’aumento dell'Iva e delle accise che, per effetto delle vecchie «clausole di salvaguardia», scatterebbe dal prossimo anno.
Work in progress, dunque, per i conti italiani. La sensazione è che, ben al di là della presentazione formale dei nuovi documenti programmatici entro i termini fissati dal cosiddetto “semestre europeo”, la vera trattativa avrà luogo da qui ai prossimi mesi, per trovare un punto di sintesi a ridosso della predisposizione in ottobre della prossima manovra di bilancio. Manovra che, sia detto per inciso, non dovrebbe più vedere la luce sotto la forma dell’attuale legge di Stabilità (la ex Finanziaria), ma cambiare ancora una volta veste. E assumere quella di una legge di contabilità che accorpi legge di Stabilità e bilancio, cui peraltro sarà demandato il compito di spedire definitivamente in soffitta quelle ingombranti clausole di salvaguardia che con il loro peso di oltre 70 miliardi rappresentano una vera bomba a orologeria, posta a formale “garanzia” del rispetto dei saldi.
In questa direzione vanno il decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 11 febbraio e il disegno di legge che reca come primo firmatario il presidente della Commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia.