lunedì 11 aprile 2016

La Stampa 11.4.16
Da Londra a Bruxelles passando per l’Italia l’Europa è tornata un puzzle confuso
L’incubo Brexit, i timori delle piccole aziende italiane e il Belgio paralizzato mostrano che le divisioni nel Continente sono ancora difficili da risolvere
di Francesco Guerrera

Tre giorni, tre Paesi. Ho fatto una full immersion a tempo di razzo nell’economia europea, rimbalzando come una pallina da flipper tra la Gran Bretagna, l’Italia e il Belgio. Le lezioni sono molte e provengono dagli incontri con banchieri e uomini d’affari ma anche da chiacchierate con tassisti, camerieri e negozianti. Dai dati economici ma anche dalle impressioni a caldo provocate dall’arrivo in un Paese nuovo. Ecco il diario politico-economico di tre giorni passati in tre Europe diverse.
S’inizia male, sveglia alle cinque del mattino in tempo per vedere il messaggino della British Airways che annuncia che il volo per Linate è stato cancellato. Sarà per ragioni di sicurezza? È una domanda obbligata nel periodo cupo in cui stiamo vivendo. La Ba non dice nulla. Solo: «Sarai sul prossimo volo», ovverosia in ritardo.
E allora c’è tempo per riflettere su questo momento strano della Gran Bretagna. L’economia va abbastanza bene, c’è stabilità politica sotto i conservatori di David Cameron (anche se lo scandalo dei «Panama Papers» metterà in dubbio tutto ciò nei prossimi giorni) e l’Inghilterra del calcio ha appena battuto la Germania in un’amichevole.
Ma i giornali non parlano d’altro che di «Brexit», la possibilità che il 23 giugno i cittadini del Regno Unito possano votare per uscire dall’Europa. La City di Londra trema, la Banca d’Inghilterra è preoccupata sulle sorti delle sterlina e le multinazionali già pensano a dove andrebbero se il Paese decidesse di sganciarsi dall’Europa. Dublino per via della lingua? Parigi perché è Parigi? Francoforte per essere vicini alla Bce?
I sondaggi mostrano un testa-a-testa tra chi vuole restare in Europa e chi preferisce lo splendido isolamento. Ma il campo dell’«In», del «dentro», fa molto affidamento su David Cameron, il primo ministro, ex uomo di pubbliche relazioni, che dovrà usare tutto il suo carisma e capacità di comunicazione per convincere gli euroscettici a non diventare eurofobici.
«Se c’è una cosa che Cameron sa fare è la campagna elettorale», mi dice un banchiere che è vicino al premier. Mi ricorda delle vittorie recenti di Cameron, dalle elezioni del maggio scorso al referendum scozzese del 2014. «Non lo sottostimare». Non lo sottostimiamo ma prendiamo anche atto che le sue mezze-verità sul fondo d’investimento di suo padre, scoperto nei Panama Papers la settimana scorsa, non aiutano la causa dell’«In».
L’arrivo in Piemonte
In Italia, il clima è diverso e non solo perché fa più caldo. Mi incontro con banchieri e piccoli imprenditori delle Langhe, terra relativamente felice nel panorama difficile del Bel Paese. Ma anche in questa zona ricca, intraprendente e colta, i problemi economici si toccano con mano.
Anni di bassa crescita hanno lasciato il segno nella psiche, se non nei bilanci, delle piccole aziende. Molte vorrebbero esportare, sfruttando il calo dell’euro, e scappare da un mercato locale che non offre granché, ma non hanno i tempi, i mezzi e le conoscenze. «Secondo lei, come possiamo attaccare il mercato americano?», mi chiede una signora che vende macchine di precisione. «Non riesco a trovare giovani che vogliono andare all’estero», mi dice un altro imprenditore di punta del luogo.
Rimango senza parole. Da dove iniziare? Forse i piccoli imprenditori sono così presi da non riuscire a pensare allo sviluppo fuori dall’Italia, forse la generazione di giovani attuali non ha le priorità giuste o forse le capacità manageriali del «Made in Italy» non sono all’altezza della qualità dei prodotti. Il fatto rimane: senza le esportazioni in mercati dove c’è domanda e crescita, il settore manifatturiero italiano verrà ancor più decimato da fattori economici, demografici e politici.
Le banche non stanno tanto meglio. «Con le nuove regole del dopo-crisi, non possiamo permetterci di sbagliare alcun tipo di prestito», dice un dirigente. Il che vuol dire che ci vanno con i piedi di piombo, prestando meno e solo a chi conoscono bene.
Dal Piemonte a Bruxelles
Ce la faremo ad arrivare a Bruxelles? Siamo solo a due settimane dagli attentati terroristici nel cuore dell’Europa. L’aeroporto ha appena riaperto ma a regime ridottissimo. Il primo volo da Milano è cancellato. Sul secondo, la Brussels Airlines ci trasporta su un aereo così vecchio che ha i portaceneri nelle poltrone. Le mie memorie di quel tragico giorno, in cui ero a Bruxelles per un viaggio di lavoro proprio come questo, diventano sempre più vivide più l’aereo si avvicina alla capitale belga.
Atterriamo e l’aeroporto è un fantasma. Conto meno di venti persone tra la porta di sbarco e il ritiro bagagli. Militari in tuta mimetica con mitra spianati «proteggono» i pochi passeggeri. Dove eravate quel giorno? Lo penso ma non lo chiedo. Nel centro di Bruxelles, il ritmo delle istituzioni europee è ancora più lento del solito. Alcuni funzionari ancora non sono ritornati, i parlamentari europei sono quasi tutti a casa, i portaborse e i lobbisti si lamentano che non c’è niente da fare. Eppure in Europa ci sarebbe molto da fare. Mario Draghi non fa altro che dire che la Banca Centrale europea ha ormai poche frecce al suo arco e che i governi devono fare la loro parte, aprendo i cordoni della borsa e allentando le cinghie fiscali.
Le politiche della Bce - tassi d’interesse negativi, acquisti di obbligazioni e così via - ormai sono così scontate dai mercati che fanno fatica persino ad abbassare l’euro e ad aiutare gli esportatori. Ma invece di attività frenetiche, a Bruxelles si respira aria di paralisi. I tedeschi e gli italiani sono ai ferri corti sui dossier finanziari. Gli uomini di Renzi continuano a pungolare Berlino con proposte quali un’assicurazione pan-europea sui depositi bancari, che Angela Merkel e Wolfgang Schäuble odiano. I due hanno ben altre gatte da pelare vista la batosta elettorale nelle elezioni locali e l’antipatia di gran parte della popolazione per la politica delle «porte (più o meno) aperte» agli emigranti. I francesi sono in piena campagna elettorale mentre gli olandesi, presidenti di turno dell’Unione europea, si stanno scannando tra loro sulle relazioni con l’Ucraina.
Senza molte speranze mi incammino verso l’Eurostar e la stazione di Gare du Midi sulla metropolitana mezza paralizzata di Bruxelles. Si torna al di là della Manica, ma anche da lì il puzzle dell’Europa divisa, confusa e un po’ impaurita non sembra facile da risolvere.
Francesco Guerrera è condirettore e caporedattore finanziario di Politico Europe.