il manifesto 8.4.16
Agnès Heller: l’Europa non è innocente
Filosofia.
Incontro con la filosofa ungherese Agnès Heller. Muri e fili spinati
tornano ai confini degli Stati-Nazione, la fortezza chiude le porte e
respinge moltitudini di rifugiati e migranti dalla Grecia verso la
Turchia. «Questa crisi è un test di esistenza per un continente senza
identità politica, dove risorge il bonapartismo dei leader, mentre il
nazionalismo ha sconfitto la solidarietà»
intervista di Roberto Ciccarelli
Il ritratto: filosofa radicale della vita quotidiana
Nata
nel 1929 da una famiglia ebrea di Budapest, Agnès Heller è stata una
delle principali esponenti della «Scuola di Budapest», una corrente del
marxismo critico che ha ispirato le politiche del «dissenso» nei paesi
comunisti dell’Europa dell’Est. Il libro che l’ha fatta conoscere in
Italia è statoLa teoria dei bisogni in Marx» e gli studi sull’economia
politica e la rivoluzione della vita quotidiana. Allieva di Gyorgy
Lukacs nel 1959 è stata espulsa dall’università ungherese per aver
sostenuto «le idee false e revisioniste» del maestro da giovane,
ispiratore del marxismo critico per cinquant’anni con il potente libro
«Storia e coscienza di classe».
Nel 1973 è stata di nuovo espulsa
dall’Accademia delle Scienze. Nel 1977, insieme al marito Ferenc Fehér,
altro esponente della scuola di Budapest, lasciò l’Ungheria per
l’Australia dove ha insegnato sociologia. Poi il trasferimento a New
York alla New School for Social Research. Tra i suoi libri più recenti:
«La filosofia radicale. Il bisogno di un’utopia concreta e razionale»
(Pgreco); con Z. Bauman, «La bellezza (non) ci salverà» (Il Margine); il
classico che ha segnato il suo rapporto con l’Italia: «L’Uomo del
rinascimento. La rivoluzione umanista» (Pgreco).
Da
bambina Agnès Heller ha fatto l’esperienza della persecuzione e dello
sterminio nazista. L’origine ebraica condannò suo padre, che fu ucciso a
Auschwitz nel 1945. Con sua madre lei si salvò per miracolo, nel ghetto
di Budapest. L’inizio sconvolgente di una vita: «Ho pensato tutta la
vita cosa significa negare a un perseguitato un rifugio in un altro
paese – racconta oggi – Se gli altri paesi europei ci avessero dato
asilo forse la metà degli oltre 600 mila ebrei ungheresi si sarebbero
salvati».
Da filosofa, già allieva di Gyorgy Lukacs ha perso due
volte la cattedra per le sue opinioni politiche: la prima dopo il 1956,
dopo la repressione sovietica della rivoluzione ungherese; la seconda
perché criticò l’invasione della Cecoslovacchia e Praga rimase sola.
Agnès fuggì prima in Australia, poi a New York dove ha insegnato nella
cattedra di Hannah Arendt. Due grandi filosofe unite dallo stesso
destino, nello stesso luogo: quello dell’immigrazione, della
persecuzione per le idee o per l’origine. Insieme hanno vissuto il
paradosso del migrante,: un essere umano protetto dai diritti umani che
per essere rispettato deve diventare oggetto di repressione, di
controllo o respingimento da parte delle leggi degli stati.
Una
contraddizione esplosiva nel cuore della democrazia liberale e dello
stato di diritto, prospettive oggi sostenute da questa filosofa
ungherese di 86 anni. Oggi c’è qualcosa di peggio dei fili spinati e dei
muri che tornano a svettare sui confini dell’Europa dell’Est fino alla
Germania: il miscuglio di paure dello straniero, cinismi geopolitici e
nazionalismi risorgenti che hanno portato al discutibile e gravoso
accordo tra Unione Europea e Erdogan che bloccherà migranti e profughi
provenienti dalla Siria (e non solo) in Turchia. Sei miliardi di euro
per tenere lontano dall’Europa gli effetti delle guerre, rafforzando un
continente che vuole restare una fortezza.
«I filosofi non offrono
soluzioni, illuminano le contraddizioni» sostiene Heller parlando prima
di iniziare una conferenza organizzata dai senatori del Pd ieri nella
biblioteca di piazza della Minerva a Roma. Comunque una soluzione viene
proposta dalla filosofa: «Fare entrare in Europa chi è in pericolo e in
cambio chiedergli l’osservanza della legge e della costituzione –
sostiene – Tutti devono potere diventare cittadini e non essere
rifiutati». Il problema, tuttavia, resta l’Europa e le sue politiche
migratorie. «Sono il frutto di un conflitto tra diritti umani e diritti
di cittadinanza – spiega Heller – Le carte dei diritti umani sono
finzioni giuridiche che hanno valore di fatto. I diritti di cittadinanza
sono invece fatti che hanno un valore politico. L’universalismo dei
diritti umani spinge ad aprire le porte ai rifugiati, senza fare
distinzione tra migranti e profughi di guerra. In nome dei diritti di
cittadinanza si può arrivare a chiudere la porta usando la motivazione
del Welfare: visto che è in crisi, e le risorse sono poche, si sostiene
che gli europei non dovrebbero condividerli con chi non lo è. In questo
modo salta l’unico legame possibile tra queste prospettive: la
solidarietà».
Quella che prima era una faglia, ora è diventato un
abisso. La crisi economica l’ha squadernato, i partiti xenofobi e
nazionalisti intingono il loro pungolo dentro l’inchiostro dell’odio.
Heller cita il premier del suo paese, Viktor Horban, il primo ad avere
eretto muri e fili spinati sulle rotte delle moltitudini umane che hanno
attraversato nell’ultimo anno i confini d’Europa. «Come cittadina
ungherese trovo assurdo puntare sull’odio infondato contro gli
stranieri, e opporre un «noi» europeo o nazionalistico a un’entità
astratta ed estranea identificata con i migranti». Questo è accaduto. Il
trattato di Schengen non ha avuto più storia: molti altri paesi hanno
chiuso i confini e le paure delle destre sono diventate incendi nelle
cancellerie. L’Europa coltivava il sogno di un’entità sovranazionale, ma
si è riscoperta un’unione di Stati-Nazione.Horban si è messo
all’avanguardia di una delle tradizioni politiche europee: il
bonapartismo che diventa un nazionalismo che sembrava non avere più
credito.
L’Europa non è mai stata innocente. I primi rifugiati,
ricorda Heller, sono stati gli europei che fuggivano dalle loro guerre.
Dopo la prima guerra mondiale e i primi anni venti la «nazione» – un
concetto che ha un passato rivoluzionario – sconfisse
l’internazionalismo proletario e le aspirazioni cosmopolitiche della
borghesia e generò il fascismo. Heller ha vissuto nel socialismo reale e
descrive l’universo concentrazionario dei Gulag. «L’Europa ha sempre
definito gli altri come “infedeli”, “selvaggi”, “barbari”, “nemici” o
“sottosviluppati” – afferma – Dopo il nazifascismo si è identificata con
le sue vittime e ha istituzionalizzato l’universalismo.
Oggi è in
corso una battaglia sui suoi valori costituenti che mette a rischio la
sua stessa esistenza. L’identità europea non può essere data per
scontata, oggi più che mai, visto che non suscita entusiasmo». «Questa
crisi è un test di esistenza per l’Europa. Se gli stati sceglieranno il
bonapartismo e le rivendicazioni nazionalistiche e persino etniche, ai
danni dell’universalismo della tradizione repubblicana e federalista, se
sceglieranno il nazionalismo al posto della solidarietà, l’Europa
resterà un insieme economico di Stati, senza identità politica». E
questo può essere l’antefatto di un altro inferno.