venerdì 8 aprile 2016

il manifesto 8.4.16
Maya Sansa
E se qualche volta fingiamo di essere
Io e te. L’ipocrisia o dell’arte di simulare un comportamento, un sentimento o possedere una virtù. Conversazione con Maya Sansa su un vizio comune a molti. «Ognuno di noi ha diversi modi di muoversi nella società. Un bravo attore è più vicino al folle: è convinto di quella parte e quindi non sta mentendo»
intervista di Fabiana Sargentini

Conosco Maya di vista da anni. La ricordo ad una festa nei primi anni Duemila con un caro amico che si apprestava a fare il giornalista di cinema. In quegli stessi anni un’amica comune che non c’è più ci tenne a presentarci organizzando una cena a casa sua. Poi lei si è spostata a Parigi con l’amore della sua vita e ci siamo perse di vista. Ultimamente l’ho ritrovata, ancora (sono una persona che ama fare amicizia, è innegabile) tramite un’amica nuova per me, meno nuova per lei. La penso spesso per ruoli femminili di film tutti pensati nella mia testa e, per ora, ancora nemmeno iniziati a scrivere… La cerco via Skype: la mia prima intervista oltre confine grazie alle meraviglie della tecnologia. È la mattina del primo giorno di scuola dopo Pasqua. Le mamme sono libere e si incontrano (noi lo facciamo virtualmente ma con la possibilità di guardarci negli occhi, un privilegio non da poco).
Dal dizionario: «l’ipocrisia (dal greco «fingere») è un atteggiamento, comportamento o vizio di una persona che volontariamente pretende di possedere credenze, opinioni, virtù, ideali, sentimenti, emozioni che in pratica non possiede. Essa si manifesta quando la persona tenta di ingannare altre persone con tali affermazioni, ed è quindi una sorta di bugia». Cosa pensi di questo vizio? Lo condanni o lo perdoni?
Lo condanno, uno dei vizi più brutti che ci siano. È veramente una cosa che non mi piace, penso di avere il difetto opposto, non riesco a non dire quello che penso.
William Somerset Maughan, uno dei miei autori preferiti, dice: «L’ipocrisia è il vizio più difficile e sfibrante che chiunque possa praticare; richiede una vigilanza continua e un raro distacco dello spirito. Non lo si può praticare, a differenza dell’adulterio e della gola, nei momenti liberi; è un lavoro a ciclo continuo». Che ne pensi?
Bellissima definizione. Forse sono troppo pigra per architettare una tale strategia! (Ride)
Invece Kurt Vonnegut scrive: «Noi siamo ciò che fingiamo di essere, quindi dobbiamo essere attenti a ciò che fingiamo di essere». Con questa affermazione lo scrittore americano ribalta il pensiero di Maughan dichiarando che, in fondo, siamo tutti ipocriti. Come la mettiamo? Con chi ti schieri?
Con Vonnegut non mi trovo d’accordo, sono d’accordo sull’idea della maschera: ognuno di noi ha diversi modi di muoversi nel mondo, nella società, nelle relazioni intime, non possiamo essere sempre nello stesso modo, però poi questa modalità diversa di essere che uno ha con la propria madre, con i propri amici, nel mondo del lavoro, ha comunque una sua coerenza. Siamo diversi e siamo molteplici, ma questa molteplicità non rappresenta un’ipocrisia, piuttosto una necessità di esprimersi in modi diversi in contesti diversi, di esprimere una parte di sé che esiste e che è assolutamente sincera.
Nel mondo dello spettacolo, che tu conosci bene, l’ipocrisia è diffusa su vasta rete: come la affronti, come la argini, come la attenui?
Col tempo ho imparato a rispettare l’altro al punto tale da non sentirmi ipocrita quando ometto di non aver apprezzato qualcosa… Se vado a vedere il film del regista X, che gentilmente mi ha invitata – a parte il fatto che quando un regista, un artista, un attore mostra un suo lavoro è in un momento di fragilità – quando si ha questa consapevolezza secondo me è una forma di crudeltà dire a caldo quello che si è provato, che non si è amato qualcosa. Questo è lontano da me (ride).
Pessoa dice: «Sono stato sempre attore, e sul serio. Ogni volta che ho amato ho finto di amare, e ho finto con me stesso». L’amore può essere ipocrita?
Per me la parola ipocrisia ha un peso. Capisco quello che vuole dire Pessoa però non lo condivido appieno. Trasformando la sua affermazione, la fantasia gioca un ruolo meraviglioso nell’amore, non è una cosa concreta l’amore, la passione fisica è reale, però l’erotismo è pieno di suggestioni: sicuramente quello che viviamo è in gran parte influenzato dalla nostra fantasia, dalla nostra immaginazione, da quello che vogliamo vedere nell’altro. Anche se l’incontro tra due persone può essere un incastro in parte nevrotico è qualcosa di profondamente sincero.
Secondo te è sempre e solo un vizio o, a volte, può essere anche diplomazia?
C’è una differenza importante tra la diplomazia e l’ipocrisia o tra la creatività e l’ ipocrisia. Tutto dipende dall’intenzione che c’è dietro. Dietro l’ipocrisia c’è una volontà subdola di ingannare, mentire per il proprio tornaconto. L’ipocrita tradisce il suo interlocutore mentre l’artista ne è complice, l’attore regala al suo pubblico un personaggio, una storia che il pubblico vuole ascoltare. È una relazione onesta. Un gioco. La filantropia è generosa. La persona diplomatica agisce per il bene comune, spesso a carte scoperte. La diplomazia la si intuisce, la relazione è di nuovo di complicità. L’ipocrisia è subdola.
Quanto collima col recitare, con l’indossare delle maschere? Qual è il confine tra essere e pretendere di essere qualcuno?
Per me recitare è lontano anni luce dall’ipocrisia. Un bravo attore è più vicino al folle: è convinto di essere quella cosa lì, quindi non sta mentendo. Questo è il mio approccio: per interpretare un ruolo, nel periodo in cui lo interpreto, lo devo difendere completamente, qualsiasi ruolo, anche nel momento in cui mi dovesse capitare di interpretare un assassino, per entrare nella sua mente e poter fare quello che fa, vado di pari passo con quel ruolo, quello che il personaggio pensa lo penso, non sto lì a dire ’guarda cosa pensa, che cretino, che brutto personaggio’. Una buona interpretazione è ciò che c’è di più lontano dall’ipocrisia.
Dante, nel Canto XXIII dell’Inferno, colloca la bolgia degli ipocriti nell’ottavo cerchio: per analogia al loro comportamento li descrive con una copertura dorata sul corpo… Di che colore vorresti coprirti tu? Per proteggerti da cosa? Ma anche, qual è il vizio che vorresti nascondere, Maya?
Il blu cobalto mi protegge. Che vizio? Ne ho tanti, adesso devo sceglierne uno… Mi ridici i vizi capitali?
Invidia, superbia. Ira…
«Sono un po’ irabonda, come si dice Iraconda, grazie! Questo multilinguismo mi sta ammazzando. Se mi parte il nervo pazzo sono una cosa… Buffo, eh? Sono picchi di follia… Però è sempre legata a delle cose che trovo ingiuste, non è un’ira sterile. Anche stamattina portando mia figlia all’asilo…». E parte un aneddoto sulla medicina omeopatica dentro la burocrazia scolastica francese, io banalmente contrattacco coi problemi che crescono in proporzione con l’età dei figli, insieme protestiamo contro le differenze tra uomini e donne applicate ai nostri rispettivi compagni e facciamo ancora un po’ le comari come fossimo al bar della piazzetta del paese invece che ognuna nella propria città, distanti migliaia di chilometri l’una dall’altra. Grazie Maya della piacevole conversazione, la prossima volta, però, facciamolo dal vivo.