il manifesto 6.4.12
Il calcolo di Hillary: la working class non conta
Primarie Usa. Clinton vs. Sanders, due filosofie contrapposte anche in casa democratica
di Fabrizio Tonello
Si
parla molto di Donald Trump, delle divisioni in campo repubblicano,
della possibilità di una convention che nomini un candidato alla
presidenza solo dopo una battaglia all’ultimo voto. Meno attenzione ha
ricevuto fin qui il fatto che, in campo democratico, la diversità tra
Bernie Sanders e Hillary Clinton è meno appariscente ma altrettanto
profonda: non è uno scontro di personalità, sono piuttosto due filosofie
politiche, due visioni della società a confronto nelle primarie del 5
aprile in Wisconsin, dove Sanders è favorito.
Se si va sul sito
ufficiale della Clinton, si trova in bella evidenza un link: «112
ragioni perché Hillary Clinton dovrebbe essere il nostro prossimo
presidente». Una lista solo in parte banale e prevedibile (n°1: «Come ex
segretario di Stato e senatore (…) nessuno è più qualificato di Hillary
per essere presidente). Come nel caso del cane che non abbaiò durante
un furto perché conosceva il ladro (nel racconto Silver Blaze di Arthur
Conan Doyle), chiediamoci cosa manca in questa lunga lista di promesse.
Per
esempio, non si parla di «miliardari», di «ricchi» né di «banche» o
«finanza»: Hillary ha incassato 675.000 dollari per le sue conferenze
dalla sola Goldman Sachs, oltre che sovvenzioni importanti dai
petrolieri. La parola «economia» compare appena due volte nel lungo
testo, di cui una in rapporto ai reduci di guerra e una per dire che «va
meglio» quando c’è un democratico alla Casa bianca. Il tema politico
dell’anno è la «disuguaglianza» ma questa parola non compare nelle
analisi o nelle proposte di Hillary, né compaiono «1%», o «eguaglianza»
(citata solo in relazione al matrimonio tra omosessuali). La comunità
gay e lesbica ha diritto a sei citazioni, la classe operaia e i poveri a
zero.
Tutto questo è piuttosto coerente: Hillary, quando era
First Lady tra il 1993 e il 2001, sostenne attivamente le due politiche
più disastrose per i poveri americani, e cioè la “riforma” del welfare
promossa da Bill Clinton e le leggi repressive che portarono
all’incarcerazione di massa dei neri (con 330 milioni di abitanti, gli
Usa hanno circa 3 milioni di detenuti, mentre India, Indonesia,
Bangladesh, Francia e Germania, con una popolazione complessiva di circa
2 miliardi, ne hanno meno di 800 mila).
Nella piattaforma,
perfino la «classe media» è citata una sola volta, per annunciare un
piano (non specificato) di aumento dei suoi redditi. La filosofia
elettorale di Hillary è semplice: la disuguaglianza non è un problema,
almeno finché i ricchi pagano le tasse; ciò di cui ci dobbiamo occupare è
la diversità. Se l’1% di oligarchi controllasse il 90% delle risorse ma
fosse composto per metà da donne, per il 12% di afroamericani e per il
12% di ispanici sarebbe perfettamente accettabile.
La società a
cui pensa Hillary è una società in cui tutti hanno diritto a salire la
scala sociale ma la gerachia sociale deve rimanere quella che è. Certo,
occorrerà «limitare l’influenza delle grandi fortune in politica» (punto
7) e i più ricchi dovranno «pagare la loro giusta parte di tasse»
(punto 8) ma questo nell’ambito di ciò che il mercato consente e Wall
Street approva. La Clinton offre una politica favorevole
all’immigrazione e di sostegno alle famiglie ma le 112 ragioni per
votarla evitano completamente i temi che alimentano la rabbia sociale
negli Stati uniti, a cominciare dai salari che stagnano da 35 anni e
dall’insicurezza economica che la ripresa e il calo della disoccupazione
non hanno eliminato.
Non c’è nulla di strano in tutto ciò: fin
dagli anni ’70, la base sociale dei democratici si è spostata dagli
operai sindacalizzati (in diminuzione per ragioni strutturali –
disindustrializzazione – e culturali – attaccamento ai valori
tradizionali) ai professionisti che vivono in città e nei sobborghi, in
particolare quelli delle industrie più avanzate (a San Francisco e
Seattle repubblicani in estinzione). Questo spiega il «progressismo» sul
piano sociale (difesa dei diritti all’aborto o al matrimonio
omosessuale) combinato con una totale indifferenza per i diritti
sindacali, l’occupazione, la salvaguardia dei salari. Hillary pensa di
non aver bisogno dei voti della working class perché quelli dei
professionisti, degli intellettuali e delle minoranze etniche sarebbero
sufficienti.
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Sostenitori di Bernie Sanders
Questo
calcolo potrebbe però essere miope: i giovani attratti da Bernie
Sanders e dalla sua insistenza sulla necessità di una «rivoluzione
politica« in America la detestano e di quei voti a novembre Hillary avrà
bisogno. Certo, se il candidato repubblicano sarà Donald Trump, il suo
vantaggio tra le donne sarà così enorme da garantirle probabilmente la
vittoria ma anche questo è un fattore che potrebbe essere in dubbio: le
donne non sposate e giovani non si riconoscono in lei.
Insomma,
Hillary è il candidato della continuità, dello status quo,
dell’establishment e il suo essere donna non cambia nulla a questa
realtà. Nel 2016 tutto questo potrebbe essere un handicap invece che un
vantaggio.