mercoledì 6 aprile 2016

il manifesto 6.4.12
Il calcolo di Hillary: la working class non conta
Primarie Usa. Clinton vs. Sanders, due filosofie contrapposte anche in casa democratica
di Fabrizio Tonello

Si parla molto di Donald Trump, delle divisioni in campo repubblicano, della possibilità di una convention che nomini un candidato alla presidenza solo dopo una battaglia all’ultimo voto. Meno attenzione ha ricevuto fin qui il fatto che, in campo democratico, la diversità tra Bernie Sanders e Hillary Clinton è meno appariscente ma altrettanto profonda: non è uno scontro di personalità, sono piuttosto due filosofie politiche, due visioni della società a confronto nelle primarie del 5 aprile in Wisconsin, dove Sanders è favorito.
Se si va sul sito ufficiale della Clinton, si trova in bella evidenza un link: «112 ragioni perché Hillary Clinton dovrebbe essere il nostro prossimo presidente». Una lista solo in parte banale e prevedibile (n°1: «Come ex segretario di Stato e senatore (…) nessuno è più qualificato di Hillary per essere presidente). Come nel caso del cane che non abbaiò durante un furto perché conosceva il ladro (nel racconto Silver Blaze di Arthur Conan Doyle), chiediamoci cosa manca in questa lunga lista di promesse.
Per esempio, non si parla di «miliardari», di «ricchi» né di «banche» o «finanza»: Hillary ha incassato 675.000 dollari per le sue conferenze dalla sola Goldman Sachs, oltre che sovvenzioni importanti dai petrolieri. La parola «economia» compare appena due volte nel lungo testo, di cui una in rapporto ai reduci di guerra e una per dire che «va meglio» quando c’è un democratico alla Casa bianca. Il tema politico dell’anno è la «disuguaglianza» ma questa parola non compare nelle analisi o nelle proposte di Hillary, né compaiono «1%», o «eguaglianza» (citata solo in relazione al matrimonio tra omosessuali). La comunità gay e lesbica ha diritto a sei citazioni, la classe operaia e i poveri a zero.
Tutto questo è piuttosto coerente: Hillary, quando era First Lady tra il 1993 e il 2001, sostenne attivamente le due politiche più disastrose per i poveri americani, e cioè la “riforma” del welfare promossa da Bill Clinton e le leggi repressive che portarono all’incarcerazione di massa dei neri (con 330 milioni di abitanti, gli Usa hanno circa 3 milioni di detenuti, mentre India, Indonesia, Bangladesh, Francia e Germania, con una popolazione complessiva di circa 2 miliardi, ne hanno meno di 800 mila).
Nella piattaforma, perfino la «classe media» è citata una sola volta, per annunciare un piano (non specificato) di aumento dei suoi redditi. La filosofia elettorale di Hillary è semplice: la disuguaglianza non è un problema, almeno finché i ricchi pagano le tasse; ciò di cui ci dobbiamo occupare è la diversità. Se l’1% di oligarchi controllasse il 90% delle risorse ma fosse composto per metà da donne, per il 12% di afroamericani e per il 12% di ispanici sarebbe perfettamente accettabile.
La società a cui pensa Hillary è una società in cui tutti hanno diritto a salire la scala sociale ma la gerachia sociale deve rimanere quella che è. Certo, occorrerà «limitare l’influenza delle grandi fortune in politica» (punto 7) e i più ricchi dovranno «pagare la loro giusta parte di tasse» (punto 8) ma questo nell’ambito di ciò che il mercato consente e Wall Street approva. La Clinton offre una politica favorevole all’immigrazione e di sostegno alle famiglie ma le 112 ragioni per votarla evitano completamente i temi che alimentano la rabbia sociale negli Stati uniti, a cominciare dai salari che stagnano da 35 anni e dall’insicurezza economica che la ripresa e il calo della disoccupazione non hanno eliminato.
Non c’è nulla di strano in tutto ciò: fin dagli anni ’70, la base sociale dei democratici si è spostata dagli operai sindacalizzati (in diminuzione per ragioni strutturali – disindustrializzazione – e culturali – attaccamento ai valori tradizionali) ai professionisti che vivono in città e nei sobborghi, in particolare quelli delle industrie più avanzate (a San Francisco e Seattle repubblicani in estinzione). Questo spiega il «progressismo» sul piano sociale (difesa dei diritti all’aborto o al matrimonio omosessuale) combinato con una totale indifferenza per i diritti sindacali, l’occupazione, la salvaguardia dei salari. Hillary pensa di non aver bisogno dei voti della working class perché quelli dei professionisti, degli intellettuali e delle minoranze etniche sarebbero sufficienti.
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Sostenitori di Bernie Sanders
Questo calcolo potrebbe però essere miope: i giovani attratti da Bernie Sanders e dalla sua insistenza sulla necessità di una «rivoluzione politica« in America la detestano e di quei voti a novembre Hillary avrà bisogno. Certo, se il candidato repubblicano sarà Donald Trump, il suo vantaggio tra le donne sarà così enorme da garantirle probabilmente la vittoria ma anche questo è un fattore che potrebbe essere in dubbio: le donne non sposate e giovani non si riconoscono in lei.
Insomma, Hillary è il candidato della continuità, dello status quo, dell’establishment e il suo essere donna non cambia nulla a questa realtà. Nel 2016 tutto questo potrebbe essere un handicap invece che un vantaggio.