il manifesto 30.4.16
«Ancora in piazza per rinnovare il sogno dei nostri figli scomparsi»
Argentina. Intervista a Hebe de Bonafini, leader delle Madres de Plaza de Mayo
di Geraldina Colotti
«I
nostri figli hanno dato la vita per un sogno e noi lo rinnoviamo ogni
giorno». Non tradisce il peso degli anni, la voce di Hebe de Bonafini,
storica dirigente delle Madres de Plaza de Mayo, classe 1928. Oggi,
l’organizzazione che ha contribuito a fondare, il 30 aprile del 1977,
compie 39 anni. Il 24 marzo dell’anno prima, una giunta militare aveva
preso il potere in Argentina, scatenando una repressione che, in sei
anni, provocherà circa 30.000 scomparsi.
Sfidando il pericolo,
quel 30 aprile le Madres lanciano al mondo un simbolo di resistenza,
come una bandiera: un fazzoletto bianco con su scritto il nome dei loro
figli scomparsi, un pannolino di tela con cui li hanno fasciati da
piccoli. Donne semplici, via via sempre più coscienti e organizzate,
consapevoli del rischio e disposte a continuare a prezzo della vita. Il
10 dicembre del 1977, nella giornata internazionale dei Diritti umani,
il giornale delle Madres pubblica l’elenco dei ragazzi desaparecidos.
Quella
notte, l’operaia Azucena Villaflor, una delle fondatrici viene
sequestrata da uno squadrone della morte e condotta in uno dei campi di
sterminio, probabilmente l’Esma. I suoi resti sono ritrovati l’8 luglio
del 2005, durante la stagione dei processi ai responsabili della
dittatura. Le ceneri vengono sepolte ai piedi della Piramide di Maggio,
al centro della Plaza de Mayo, l’8 dicembre del 2005, a conclusione
della 25ma marcia di resistenza delle Madres.
Oggi, il pañuelo è
diventato un simbolo nazionale dell’Argentina «e per tutti i popoli del
mondo rappresenta la lotta, la resistenza, la trasformazione
collettiva», scrive Kabawil, il gruppo di appoggio italiano alle Madres.
Per il loro 39mo compleanno, Kabawil ha organizzato una carovana, che
si conclude oggi a Mar del Plata.
Cosa ricorda Hebe di quel 30 aprile di 39 anni fa? Com’è cominciata quella battaglia?
Da
mesi, ci incontravamo al ministero degli Interni, nelle caserme, tutte
alla ricerca dei nostri figli scomparsi. Un giorno, che può essere
considerato il punto d’avvio, eravamo andate alla chiesa della marina
Stella Maris, dal vescovo Emilio Gracelli che poteva avere notizie. E
Azucena Villaflor ha detto: basta, andiamo in piazza. Eravamo stufe di
girare a vuoto. Così ci rechiamo a Plaza de Mayo, di fronte alla Casa
Rosada, il palazzo presidenziale argentino, con una lettera per il
generale Videla. Era un sabato, e lì non c’era nessuno, mentre noi
volevamo essere visibili. Qualcuna suggerisce di tornare il venerdì, ma
c’è chi dice: no, venerdi è il giorno delle streghe. Così cominciamo a
girare in piazza il giovedì alle 15,30: per rientrare prima del buio,
perché eravamo seguite e perseguitate.
Quanti figli ha perso?
Due,
più mia nuora, sposata al maggiore. Ma per le Madres la maternità è
collettiva, abbiamo deciso di socializzarla, parliamo dei nostri figli
per parlare della storia di questo paese, dei molti giovani coraggiosi
che le famiglie non hanno voluto ricordare. Loro hanno dato la vita per
un sogno, noi abbiamo deciso di condividerlo e di rinnovarlo, ogni
giorno da allora. Per noi, non sono né vittime – perché hanno lottato,
anche con le armi per i propri ideali – né tantomeno terroristi. Nessun
terrorista dà la vita per amore degli altri. La rivoluzione è un atto
politico d’amore: perché sempre i popoli hanno motivo di lottare e di
guardare a quelli che lo hanno fatto prima di loro per costruire una
speranza. In Argentina abbiamo avuto 12 anni meravigliosi con il
kirchnerismo, la casa del governo era aperta, era parte della nostra
vita. Con Nestor e Cristina, l’Argentina ha aperto la scatola nera del
passato, ci sono stati i processi, si sono rimesse in moto le energie.
Ma adesso è tornata la destra…
E
siamo tutti responsabili. Certo, ci sono stati errori di tipo diverso:
candidati che non sono stati all’altezza, la corruzione, ma il più grave
è stato l’aver dato le cose per acquisite. Non abbiamo capito cosa sia
davvero la lotta di classe. Abbiamo dimenticato che, senza un adeguato
lavoro politico, la gente più umile quando ottiene dei benefici si
rivolge verso l’alto e non verso il basso, pensa che chi sta più in alto
possa darle ancora di più, senza capire che quello che ha avuto è
perché se lo è conquistato. E così è arrivata la destra con le sue
promesse megagalattiche di lavoro, felicità, parole vuote e demagogiche
dirette agli strati più umili. Macri ha promesso di tutto, salvo quello
che sta mettendo in atto: licenziamenti, pallottole per chi protesta,
chiusura delle università popolari e delle mense scolastiche per i
bambini poveri…
Le Madres sono nuovamente a rischio?
Sì, ci
hanno minacciato di morte, telefonate continue in cui dicevano che ci
avrebbero uccise. Quattro tizi armati sono entrati nella sede della
nostra radio, hanno sfondato la porta, ferito un compagno. Io sono stata
citata tre volte in giudizio per incitamento alla violenza. Una prima
volta mi chiama il giudice e mi dice di andare a deporre. Rifiuto. Mi
manda una citazione. Non vado. Mi dice: mandi il suo avvocato. Rispondo:
non nomino nessun avvocato perché non ho commesso alcun reato. Se
volete arrestarmi, fate. Sto aspettando. Un giorno ci hanno impedito di
entrare in piazza, una camionetta di polizia proibiva l’entrata. Ma sono
arrivati i compagni, insieme a 40 deputati.
La deputata Milagro Sala è in carcere per presunte irregolarità amministrative.
Sì,
purtroppo. Mi ricordo che anni fa lavoravamo a un progetto di case
popolari chiamato Il sogno condiviso. Con quello abbiamo fatto uscire
dal carcere due detenuti e due emarginati che si trovavano in un
ospizio. E questi, con la complicità di funzionari governativi hanno
messo su una truffa con cui hanno cercato di screditarci. E un giudice
ci ha obbligato a pagare i danni. Abbiamo capito che la politica non va
mischiata con il denaro, con il capitalismo che non puoi controllare
perché stimola solo gli interessi individuali, la politica va intesa nel
suo senso più alto, come la migliore azione collettiva. Per questo, a
differenza delle altre associazioni, abbiamo rifiutato risarcimenti
economici per i nostri figli. Non c’è prezzo per la vita e non serve
dedicare una strada a qualcuno degli scomparsi. I nostri figli non sono
morti, vogliamo che vivano nelle lotte presenti insieme a tutti i 30.000
scomparsi. Per via dell’età, siamo sempre di meno, ma il nostro impegno
è lo stesso: mostrare ai giovani che la lotta non è inutile, neanche il
sangue versato è inutile e che non bisogna sentirsi vittime.
Lei è
tornata in piazza per difendere il socialismo bolivariano e ha
denunciato i golpe istituzionali in marcia in America latina.
Sì,
bisogna difendere Nicolas, Dilma… Prima, per eliminare i presidenti le
destre usavano l’esercito, oggi si servono dei giudici, dei grandi media
e degli imprenditori. Nel governo Macri sono quasi tutti imprenditori,
schierati per riconsegnare il paese ai fondi avvoltoio. E la sinistra
non capisce che deve riformulare il proprio pensiero politico. Ma il
popolo, durante gli anni del kirchnerismo ha imparato a scendere in
piazza. Macri ha fatto un decreto per impedirci di scendere in piazza,
ma il 24 marzo eravamo un milione di persone a rendere carta straccia il
suo decreto. Uno tsunami. Il popolo è uno tsunami e uno tsunami non si
ferma per decreto. In America latina si è aperta una speranza, dobbiamo
lottare perché diventi realtà, senza delegare tutto ai politici. Loro
fanno il possibile, il popolo deve fare l’impossibile e lì stanno le
Madres.