il manifesto 28.4.16
Grecia di nuovo sotto pressione tra migranti e ingordigia della trojka
Grecia. Cancellata la riunione straordinaria dell’Eurogruppo. Gli aiuti restano congelati
di Teodoro Andreadis Synghellakis
Ci
risiamo, per l’ennesima volta. La Grecia stretta in un angolo, con le
richieste dei falchi – ad iniziare dall’Fmi e da Schauble – che non si
accontentano e chiedono continuamente tagli, in un eterno presente che
pare impossibile lasciarsi alle spalle.
Nel ben noto gioco di
ruoli, questa volta la parte del cattivo la sta giocando il Fondo
monetario internazionale, che richiede l’approvazione, da parte del
parlamento greco, di misure preventive per un ammontare di 3,6 miliardi
di euro. Dovrebbero entrare in vigore nel caso i tagli accettati sinora
da Atene si dovessero dimostrare troppo «buoni», non abbastanza
efficaci.
E ovviamente si sono subito posti due problemi, uno di
natura formale ed uno assolutamente pratico. Da una parte, la
legislazione ellenica non prevede che il parlamento possa legiferare su
misure «eventualmente applicabili in futuro», ma solo su questioni di
natura certa. Anche perché, rispetto alle clausole di salvaguardia
italiane c’è una sostanziale differenza: nel caso del governo Tsipras,
non gli si permette di includere le misure «di garanzia» all’interno di
una finanziaria, ma si chiede una legge ad hoc.
In più, dal punto
di vista dei cittadini, tartassati da cinque anni di austerità senza
limiti, queste nuove misure richieste dal Fondo monetario – se dovessero
venire applicate – porterebbero a nuovi tagli di stipendi e pensioni
per una percentuale intorno all’8% del loro ammontare totale, e
all’ulteriore innalzamento delle aliquote Iva. Obbligando a chiudere,
per esempio, anche le case editrici che finora erano riuscite, tra mille
sacrifici, a resistere alla crisi.
Il governo di Syriza propone
un meccanismo che controbilanci automaticamente eventuali minori
introiti per le casse dello Stato, ma chiede di salvaguardare le classi
sociali più deboli e di non dover presentare in parlamento, ovviamente,
la legge richiesta dai creditori.
Il premier Alexis Tsipras ,
constatato che le trattative con i creditori si sono arenate, ha chiesto
la convocazione di un vertice europeo straordinario per discutere della
situazione e riuscire a trovare una via d’uscita politica. La decisione
definitiva al riguardo dovrebbe essere presa oggi, ma la posizione del
presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, non sembra delle più
incoraggianti: i suoi collaboratori hanno lasciato trapelare che la
soluzione deve essere trovata solo ed esclusivamente all’interno
dell’Eurogruppo. Quello in programma per oggi, ovviamente, è stato
annullato e l’ulteriore perdita di tempo può andare solo a discapito
della Grecia.
Il presidente del gruppo dei socialisti e
democratici all’Europarlamento, Gianni Pittella, si è schierato
apertamente a favore di Atene, chiedendo di non strangolare la Grecia, e
di non chiederle di adottare misure supplementari. Lo stesso Juncker,
secondo la stampa greca, parlando al collegio dei Commissari, sembra
aver definito irragionevoli e anticostituzionali le misure ex ante,
richieste alla Grecia.
Pare essere una prima presa di posizione
contro l’asse del rigore assoluto, quella costruita da Berlino e
dall’Fmi con sede a Washington. Ma è chiaro che a questo punto sono più
che necessari degli interventi chiari, di sostegno energico e visibile,
sia da Parigi che da Roma, se si vuole sperare ancora che qualcosa possa
cambiare. Altrimenti, entro fine maggio Atene potrebbe avere nuovamente
problemi di liquidità e il pagamento di pensioni e stipendi sarebbe
ancora una volta a rischio, come avvenne nel giugno del 2015.
Non
bisogna essere particolarmente malevoli per ricordare che proprio poche
settimane fa, WikiLeaks aveva diffuso il contenuto di una lunga
teleconferenza tra Poul Thomsen, a capo del dipartimento europeo del
Fondo monetario internazionale, la rigidissima Delia Velculescu – che lo
rappresenta ai colloqui con il governo greco – e un’altra responsabile
dell’Fmi. Nel colloquio in questione si faceva chiaramente riferimento
alla possibilità di portare nuovamente il paese al collasso economico,
viste anche le resistenze del governo di Syriza ad accettare i diktat
neoliberistici.
Tutto ciò, in un paese che continua ad ospitare
più di 50.000 migranti e profughi arrivati negli ultimi mesi,
sopportando un peso pratico ed economico enorme. E che malgrado le
difficoltà non ha chiuso le proprie frontiere, come ha fatto, invece,
l’ex Repubblica Jugoslava di Macedonia e sta minacciando di fare, ora,
anche l’Austria.
Atene spera che si esca dall’impasse, per
arrivare alla conclusione della trattativa e passare, così, alla
delicatissima fase che dovrà riguardare l’alleggerimento del debito
pubblico greco. Più i giorni e le settimane passano a vuoto, e più
l’economia greca non riuscirà a riprendersi, con il solito circolo
vizioso: consumi al minimo, alta disoccupazione, minori entrate per lo
Stato e richiesta di ulteriori tagli dai creditori.
I falchi del
rigore sembrano non aver imparato assolutamente nulla in tutti questi
anni. E forse non hanno neanche capito la cosa più importante: che in
Grecia, per loro, non ci sono comode alternative politiche. Un eventuale
governo conservatore, o anche di larghe intese, non riuscirebbe mai a
portare avanti i nuovi piani lacrime e sangue voluti da Fmi e
ultraliberisti.