il manifesto 26.4.16
Spagna, verso nuove elezioni il 26 giugno
Spagna. Possibile un accordo politico tra Podemos e Izquierda Unida
Podemos in parlamento
© Lapresse
Luca Tancredi Barone BARCELLONA
Edizione del
26.04.2016
Pubblicato
25.4.2016, 23:59
È
iniziata ieri l’ultima settimana della legislatura più corta della
democrazia spagnola. Dopo ben cinque mesi dalle elezioni, è ormai chiaro
che i partiti spagnoli non sono stati in grado di raggiungere un
accordo. La campagna elettorale è iniziata da molte settimane.
Il
giorno 3 maggio scadranno i sessanta giorni dalla prima seduta di
investitura del Congresso, giorno a partire dal quale scatta il conto
alla rovescia per la formazione di un nuovo governo. E per la prima
volta sarà dunque il re Filippo VI a sciogliere le camere, una funzione
che in circostanze normali spetta sempre al presidente del governo. Le
elezioni in questo caso saranno celebrate il giorno 26 giugno.
Ieri
il monarca ha iniziato un terzo giro di consultazioni, dopo i primi due
che culminarono con l’incarico al socialista Pedro Sánchez. Oggi il
Borbone vedrà i quattro principali partiti. Il capo dello stato è
intenzionato ad affidare un nuovo incarico solo nel caso esistano
possibilità concrete di successo, cosa che al momento è da escludersi.
La
prima ragione è che non c’è più tempo: per votare la fiducia entro
martedì prossimo, la prima sessione andrebbe convocata al massimo
venerdì di questa settimana, per votare la prima volta il giorno dopo (e
qui ci vorrebbe la maggioranza assoluta dei voti); dopodiché, devono
passare 48 ore, e si dovrebbe convocare la seconda seduta lunedì per
votare martedì, e stavolta basterebbe una maggioranza di sì. Ma finora,
nelle uniche due sedute di investitura, il conteggio dei seggi
favorevoli si è fermato a 131.
Il secondo motivo è che Mariano
Rajoy in queste settimane non si è mosso dalla sua posizione di attesa
passiva. Nonostante il fallimento di Sánchez, che non è riuscito ad
aggiungere che un solo voto ai 130 seggi garantiti dal suo partito e da
Ciudadanos, Rajoy non ha saputo giocare le sue carte per salvare se non
se stesso almeno il suo partito. E ha continuato a sperare in elezioni
che, pensano, potrebbero ridare fiato al Pp, se non altro per un tasso
d’astensione che si prevede alto, e magari rafforzare Ciudadanos, con
cui non sarebbe difficile arrivare a un accordo.
Ma
obiettivamente, c’è anche un altro grande sconfitto da queste settimane
di negoziati infruttuosi: Pedro Sánchez, che non ha voluto – o non ha
potuto – esplorare un’alleanza a sinistra verso cui in seguito spingere
Ciudadanos. Per ragioni ideologiche, questo partito avrebbe avuto
difficoltà a difendere davanti ai suoi elettori un voto che avrebbe
spinto alle elezioni anticipate, mentre ora può sostenere di essere
l’unico partito “responsabile”. Ma Sánchez aveva le mani legate dal suo
stesso partito: meglio fallire, ma con Podemos (e l’astensione già
promessa degli indipendentisti catalani e baschi) mai. Aver tentato la
manovra opposta di spingere Podemos all’astensione, se mai qualcuno fra i
socialisti avesse mai pensato ingenuamente che fosse realistica, è
fallita miseramente. L’ultima disperata proposta per sbloccare la
situazione l’ha fatta Ciudadanos, chiedendo una soluzione tecnica, un
incarico a un Monti spagnolo. Sarebbe una decisione inedita per la
giovane democrazia spagnola.
Ma forse l’obiettivo dei pesi massimi
socialisti era proprio quello di bruciare Sánchez per spianare la
strada a Susana Díaz, la potente, e assai più politicamente moderata,
presidente andalusa, che è da sempre segretaria in pectore. D’altra
parte, Sánchez invece sembra convinto che tanta visibilità e il framing
narrativo su cui ha giocato di “aver fatto di tutto” per formare il
governo gli gioveranno elettoralmente. E sarà bene per lui che sia così:
perché invece stavolta – con buona pace di Rajoy – i risultati
elettorali potrebbero essere molto diversi. Perché Podemos ha fatto
marcia indietro rispetto a sei mesi fa, e sembra molto più vicino ad
accettare un accordo con Izquierda Unida, unico partito che non esce
penalizzato – stando ai sondaggi – da questi mesi di frustrazione.
Certamente
per le qualità politiche e umane del portavoce Alberto Garzón, e per la
delusione rispetto al partito di Pablo Iglesias, che ha gestito i
negoziati in maniera poco lineare e con poca abilità. Ma la somma delle
due liste a livello nazionale, come già avvenuto in Catalogna, Galizia e
Valencia, potrebbe ottenere un risultato strabiliante, complice una
legge elettorale che penalizza molto i partiti più piccoli diffusi a
livello nazionale. Se anche gli elettori votassero esattamente nello
stesso modo, IU+Podemos+ alleanze locali avrebbero 14 seggi in più (85
seggi invece degli attuali 69 + 2 di IU), e tre seggi in meno dei
socialisti (che scenderebbero a 88). E soprattutto, il governo di
sinistra sarebbe praticamente fatto (avrebbe 173 voti, a un passo dai
176 che segnano la maggioranza assoluta).
La speranza di Garzón e
Iglesias è proprio il sorpasso del Psoe. Uno scenario per nulla
fantascientifico, visto che Podemos + IU + alleanze locali hanno già
mezzo milione di voti più del Psoe. Per ora i due partiti non confermano
nulla, ma se il matrimonio si farà, il 27 giugno ne vedremo delle
belle.