il manifesto 21.4.16
Ora toccherà ai giovani salvare le tante conquiste della Rivoluzione cubana
Cuba.
Per quanto riguarda le nuove relazioni con Washington, Raúl ha parlato
di due paesi che restano distanti pur auspicando rapporti «civili» e
«rispettosi della propria indipendenza e sovranità»
di Aldo Garzia
Con
orgoglio e tenacia, Fidel Castro ha partecipato martedì scorso
all’ultima giornata del VII Congresso del Partito comunista cubano. Non
si è limitato a ricevere gli applausi degli oltre mille delegati
convenuti nel Palazzo delle Convenzioni a L’Avana.
Sulla soglia
dei 90 anni che compirà il prossimo agosto, indossando la sua nuova
uniforme che da qualche anno è una tuta da ginnastica, inforcando un
paio di occhiali da vista, senza rinunciare a stare eretto in piedi
appena poteva per salutare i congressisti, ha pronunciato un breve
discorso con voce sicura.
Fidel ha ripercorso la sua biografia
spiegando come è diventato comunista e curioso del marxismo fin da
quando era un giovane studente di giurisprudenza all’Università
dell’Avana. Poi ha difeso questa identità e le scelte di Cuba
socialista. Si è congratulato con il fratello Raúl per come ha gestito
gli ultimi anni dell’isola, quelli che dal 2006 vedono Fidel lontano dal
governo a causa di una prolungata malattia. Infine, la parte più
emotiva dell’intervento: «Fra poco dovrei compiere 90 anni, non me lo
sarei mai immaginato. È un capriccio del caso. Ben presto sarò come
tutti gli altri. Per tutti arriva il proprio turno ma resteranno le idee
dei comunisti cubani… Forse è l’ultima volta che parlo in questa sala.
Vi ringrazio».
Il saluto di Fidel ha avuto il sapore del commiato.
Ma pure l’intero Congresso è stato all’insegna del passaggio
generazionale. Raúl Castro ha confermato che lascerà i suoi incarichi
nel 2018. Gli ultraottantenni del gruppo storico che ha fatto la
rivoluzione del 1959 sono ormai un sparuta minoranza. Il Congresso ha
inoltre approvato alcune clausole che favoriscono il rinnovamento: nel
Comitato centrale non bisognerà avere più di 60 anni per essere eletti,
per le massime cariche non si dovranno superare i 70. Ora il testimone
passa ai quaranta-cinquantenni.
A loro spetterà il compito di
salvare le conquiste della rivoluzione, rinnovare il modello socialista e
reggere la nuova sfida con gli Stati Uniti che sono meno aggressivi
dopo la recente visita a Cuba di Barack Obama. L’impresa è titanica. Va
dato atto al gruppo storico di aver lavorato con saggezza e lungimiranza
a questo inevitabile passaggio di fase.
Chi sarà l’erede alla
guida dell’isola è troppo presto per dirlo. Nei prossimi due anni
affiorerà di sicuro più di una candidatura. Gli occhi sono intanto
puntati sull’attuale vicepresidente: Miguel Diaz-Canel, classe 1960.
Politicamente,
il Congresso ha confermato gli assi strategici dell’ultimo periodo.
Raúl Castro ha ribadito con fermezza che aprire alcuni settori
dell’economia al lavoro privato non equivale alla restaurazione del
capitalismo: lo Stato non è più in grado di coprire alcuni servizi,
quindi niente paura verso i «cuentapropisti» che hanno superato i le
500mila unità.
Nuova apertura pure alle imprese miste e a
partnership straniere. Cuba ormai punta a un’economia mista con
istruzione, difesa, previdenza e sanità saldamente in mani pubbliche. Il
punto debole restano i bassi salari e le basse pensioni in una fase di
crescita economica e aumento dei prezzi.
Per quanto riguarda le
nuove relazioni con Washington, Raúl ha parlato di due paesi che restano
distanti pur auspicando rapporti «civili» e «rispettosi della propria
indipendenza e sovranità».
Da qui la reiterata richiesta che tutte
le clausole dell’embargo vengano abolite e che si restituisca ai cubani
la base militare di Guantanamo. Indietro non si torna, questa è la
volontà dell’Avana. Vedremo se il nuovo inquilino della Casa bianca la
penserà altrettanto.
Sul Congresso dei comunisti cubani hanno
pesato infine le notizie che arrivano da Brasile, Argentina e da altri
paesi latinoamericani dove sembra di assistere alla fine del ciclo
progressista del recente passato e dove la destra sta affilando le armi
per un ritorno generalizzato al potere. Anche in Venezuela, l’alleato
più fedele di Cuba, le cose non vanno per il meglio.
Il «golpe
bianco« in corso contro la presidente Dilma Roussef può avere
conseguenze politiche sugli equilibri dell’intera America latina. Che
L’Avana si sia garantito il buon vicinato non belligerante degli Stati
uniti è un risultato importantissimo, oltre che una storica vittoria.
Difficile che Cuba torni accerchiata e isolata come dieci o quindici
anni fa.