il manifesto 17.4.16
Occupy in piazza per Bernie Sanders
Primarie Usa. A New York un inusitato attivismo dei movimenti, grazie al candidato «socialista»
di Marina Catucci
New
York Manifestazioni, comizi, scioperi a New York gli ultimi giorni di
campagna elettorale prima del voto del 19 aprile per le primarie, sia
democratiche che repubblicane, segnate da un attivismo che non si vedeva
da tempo. Il 19 si vota, e New York stavolta ha un ruolo chiave, per i
repubblicani in ballo 95 delegati, per i democratici 247, ma più di
tutto un’enorme perdita o ritorno di immagine politica.
Di questo
sono consapevoli candidati e base super mobilitata anche grazie alla
presenza di Sanders sostenuto ed appoggiato da tutti i movimenti e la
cui campagna mediatica è curata da Occupy Wall Street che a New York
esce da dietro le quinte e dopo anni ritorna in piazza, a supporto del
candidato socialista.
La campagna di Sanders a New York è stata la
più visibile con un ritmo di 4/5 comizi pubblici al giorno, mobilitando
nelle iniziative migliaia di persone, come le 28.000 nel parco di
Washington square, nel cuore del Greenwich Village e altrettante fuori
dal perimetro del parco che non poteva contenere la massa di gente
accorsa per sentire un Sanders ormai rauco parlare di giustizia sociale,
economica, razziale e di socialismo.
Quello stesso giorno Sanders
era andato a dare il proprio appoggio ai lavoratori della compagnia
telefonica di Verizon, in sciopero per vedersi riconosciuto uno scatto
di salario pareggiato con quello del salario minimo di $15, voluto (o
meglio imposto) da Obama e molti dei governatori tra cui quello dello
stato di New York, Cuomo. Sanders non è nuovo a questa protesta:
appoggia le mozioni dei lavoratori di Verizon dal 2004, la sua presenza
ai picchetti ha portato l’attenzione mediatica che i lavoratori
chiedevano. Nel dibattito con Clinton, della stessa sera, i toni si sono
subito accessi partendo proprio da i diritti dei lavoratori; il
dibattito era stato ribattezzato la battaglia di New York ed è, in
effetti, una battaglia vera e propria. Nessuna novità dal dibattito ma i
toni così taglienti e sarcastici denotano una profonda spaccatura,
ormai, anche all’interno del partito democratico con cui, a urne chiuse,
bisognerà confrontarsi.
Intanto le strade di New York sono
occupate da cortei, a partire da i FightFor15, il movimento che tre anni
e mezzo fa ha cominciato la pressione sul governo per vedersi
riconosciuto un salario minimo decente; a DumpTrump, che contesta la
politica razzista del candidato repubblicano. Ed altre sono in
calendario, come quella dei latinos for Bernie. Ma più di tutto è il
ritorno nelle strade di Occupy Wall Street che per un giorno lascia la
parte organizzativa e si dà appuntamento a Foley square per un corteo
fino ad Union square, la piazza del sindacato, seguendo lo stesso esatto
percorso delle proprie manifestazioni del 2011.«Non andavamo in piazza
da anni – mi dice Sasha, che era a Zuccotti Park nel 2011 – ma non siamo
stati inermi, solo abbiamo spostato le nostre azioni. Ora però è
necessario mostrarci per strada. L’intento del corteo è di portare gente
al voto. Dopo New York in ballo altri stati con molti delegati, per
Sanders qua è importante vincere o anche perdere bene. Una vittoria non
schiacciante è già una sconfitta di Hillary».
«C’è in gioco il
paese – continua Michael, anche lui occupier dal 2011 – Ora titoleranno
che Occupy Wall Street è tornata. In realtà non ce ne siamo mai andati,
siamo solo stati meno visibili. Quando un nuovo movimento nasce si
intreccia al nostro per capire come gestire la comunicazione, per le
pratiche di resistenza passiva, disobbedienza civile non violenta e per
trovare il modo più efficace per avere la visibilità necessaria. In
questo momento alcuni di noi sono a Washington per dare supporto a
Democracy Spring che chiede trasparenza per i finanziamenti elettorali, a
Ferguson siamo andati in molti, anche io ero lì, facevo livestream ogni
sera durante gli scontri». Ma chiediamo, è la prima volta però che OWS
appoggia un candidato? «Sono cambiate molte cose in questi anni –
risponde Damien – quello che chiedevamo è stato comunque sentito.
Sanders ci ha ascoltati. Lui può portare i temi dei movimenti alla Casa
bianca. Hillary, invece, è un repubblicano con un cappellino diverso.
Lui è il cambiamento che vogliamo, lei lo status quo. È il momento di
tornare in piazza a farci vedere supportare Sanders».