il manifesto 17.4.16
Alle urne alle urne
di Norma Rangeri
La
politica non è il perseguimento dei propri interessi. Ma idee,
progetti, obiettivi. In primo luogo quelli democratici che si realizzano
anche attraverso la partecipazione al voto. Se chi governa invita i
cittadini a non andare a votare, ferisce la radice di un principio
democratico (tra l’altro ci sono leggi che lo vieterebbero). Senza
pensare alle conseguenze di una scelta che potrebbe rivelarsi
autolesionista. Perché l’arma del non voto prima o poi si ritorce contro
chi l’ha evocata.
Sarebbe stato molto semplice trovare un accordo
tra governo e regioni sull’ultimo dei sei quesiti proposti dalle nove
regioni italiane sulle scelte in materia di energia e ambiente. Mettere
un termine ai contratti delle società petrolifere, come avviene in
Europa era ragionevole per tutti (parliamo di stipule ultratrentennali e
di successive, possibili proroghe). Ma il gruppo renziano di palazzo
Chigi ha detto no. Probabilmente nella previsione di un flop di
affluenza, alimentando e organizzando la propaganda fuorilegge
(l’astensionismo di governo) sostenuta da illustri sponsor come l’ex
presidente della repubblica Napolitano. Un referendum da far fallire e
da giocare come apripista della grande volata d’autunno sulla riforma
costituzionale. Una furbata in stile renziano, ma non sempre e non tutta
la politica è piegata a instrumentum regni.
Il comportamento del
partito democratico (o della sua maggioranza), e del segretario Renzi, è
paradossale. Oggi vorrebbe vedere gli italiani lontani dalle urne,
mentre in autunno dovrà buttarsi in una forsennata campagna referendaria
per chiedere ai cittadini di sostenere, attraverso il voto, la riforma
costituzionale appena approvata alla Camera. La contraddizione è
evidente, e peserà nei rapporti con la minoranza Pd, nei rapporti con
gli altri partiti, in quelli con la comunità nazionale.
Paradossalmente,
prima del merito, ciò che emerge con forza mettendo in luce i limiti
del giovane Renzi, è il metodo. Che evidenzia una considerazione della
politica strumentale e bullesca («si perdono 11 mila posti di lavoro»,
«il referendum è una bufala»). Si perseguono una tattica e una strategia
solo se funzionali al proprio tornaconto (al netto di traffici poco
commendevoli che la magistratura dovrà accertare).
Oltretutto non
si valutano le conseguenze di questa decisione nei rapporti del Pd con i
propri elettori e simpatizzanti. I quali periodicamente vengono
chiamati a votare per le primarie, alle quali rispondono con una
crescente disaffezione. E quindi con uno svuotamento progressivo del
significato di questa iniziativa di democrazia diretta. Forse
l’obiettivo finale è proprio quello di renderle inutili, lasciando le
decisioni che contano agli apparati, alle segreterie, ai gruppi di
potere.
Ma c’è anche qualcosa di bizzarro nel referendum
“trivellaro”. Perché la consultazione elettorale non è stata promossa
dalla casa madre dei radicali di Pannella, né da altri attraverso la
tradizionale raccolta delle firme: è stato voluto da nove regioni, in
maggioranza a guida Pd. È inverosimile pensare che improvvisamente i
presidenti e le giunte di queste regioni siano diventati ambientalisti.
Però hanno il polso dei rapporti con il territorio, sottovalutare questo
aspetto risponde perfettamente alle scelte autarchiche e masochiste di
questo governo.
E tuttavia, a esser sinceri, un referendum che mette insieme Sel e la Lega non ci entusiasma.
Una
è per l’ecologia, la sinistra e la libertà, l’altra pensa
esclusivamente a fare battaglia politica contro il governo, usando ogni
argomento per chiedere le dimissioni di Renzi.
Ci saremmo
aspettati una partecipazione vera, forte, mobilitante dei 5Stelle, che
invece si sono fermati allo scontro politico tout court, attaccando i
ministri di Renzi per gli affari, veri e presunti, che girano intorno al
petrolio italiano. Hanno perso un’occasione culturale e sociale,
arroccandosi in una guerra di Palazzo che sicuramente piace a quei
milioni di indignati che vorrebbero mettere al rogo tutta la classe
politica.
Non so come andrà a finire oggi. Chi andrà a votare per
un referendum di cui si sa poco, e avendo davanti esempi di tutti quelli
vinti e traditi?
L’augurio però è che il voto serva se non altro a
trivellare le certezze delle persone che usano gli strumenti
democratici come un’arma di lotta politica, anziché come collante della
vita politica, sociale, culturale del nostro paese.