il manifesto 17.4.16
l premier e la conta nel paese
Referendum
Trivelle. Quorum difficile, ma Renzi tiene d’occhio il numero dei
votanti. Sopra il 35 per cento sarebbe un segnale d’allarme per il
governo
di Andrea Colombo
Hanno diritto a votare
46 milioni e 730 mila cittadini, più circa quattro milioni all’estero
sempre che i consolati si decidano a distribuire i certificati
elettorali che da qualche parte del mondo sono arrivati e da qualche
altra no. L’esito del referendum sulla possibilità di sfruttare le
concessioni in mare sino a esaurimento dei giacimenti di petrolio e gas
non dipenderà da come i suddetti voteranno ma da quanti andranno a
votare. Va così da parecchi referendum ma questa è la prima volta che a
guidare la campagna astensionista è il presidente del consiglio, seguito
da parecchi ministri. Una parte di chi è contrario all’abrogazione
andrà a votare comunque per correttezza, tra gli altri Bersani e Romano
Prodi che Renzi ha indebitamente provato a usare come testimonial della
sua campagna astensionista. Tra le alte cariche istituzionali il premier
sarà il solo a disertare le urne, ma non è ancora dato di sapere se il
presidente della Repubblica voterà di mattina, dando così l’esempio, o
nel pomeriggio, dopo i Tg, per non disturbare troppo il manovratore.
Se
il quorum non sarà raggiunto, le compagnie che estraggono petrolio e
gas dall’Adriatico ne trarranno indubbi vantaggi, primo fra tutti il non
essere obbligati a smantellare gli impianti già fermi, e non si tratta
di una spesuccia ma di alcune centinaia di milioni. Al di là del merito
specifico, l’esito del referendum avrà un immancabile riflesso sulle
politiche energetiche. Il governo Renzi si è distinto per i tagli
drastici alle rinnovabili. Il premier, in giro per il mondo, si vanta di
risultati ottenuti da tutti tranne che da lui. Il raggiungimento del
quorum renderebbe quasi obbligatorio un cambio di indirizzo strategico.
Il
referendum avrà anche un peso politico svincolato sia dallo specifico
del quesito sia dalla politica energetica. Da questo punto di vista,
però, non bisognerà guardare solo al raggiungimento del quorum ma alla
più o meno alta percentuale di votanti, anche al di sotto
dell’asticella. La prova di oggi, infatti, si inserisce in una fase
difficile, ma non ancora disperata, per Renzi. Allo stesso tempo è la
prima di tre prove elettorali decisive che si susseguiranno nei prossimi
mesi: le comunali a giugno e poi il referendum-plebiscito in autunno.
Proprio
perché quella di oggi è la prima di queste prove, Renzi deve dimostrare
di essere ancora saldo in sella. Ha bisogno di una percentuale di
votanti bassa, meglio se inferiore al 30% e comunque non superiore al
35%, per dimostrare di avere mantenuto la sua presa sull’elettorato. In
caso contrario, dalle urne di oggi potrebbe facilmente partire il temuto
effetto slavina.
Una percentuale di votanti alta, al di sopra del
40%, restituirebbe l’immagine di un premier certamente vincitore, però
grazie al trucco consistente nell’accreditarsi l’astensione, e quindi in
realtà traballante, in netto calo di popolarità. In politica offrire
un’immagine di debolezza è quanto di più pericoloso. Presentarsi alle
comunali di giugno con un’immagine sfregiata dall’esito del voto di
oggi, anche solo in termini di percentuale alta di votanti, vorrebbe
dire aumentare il rischio già forte di perdere in due delle tre grandi
città in cui si vota, e addirittura di mettere in dubbio il risultato a
Milano. Infine, una massa vicina ai 15 milioni di votanti nel referendum
di oggi, quando votare è di per sé un pronunciamento contro il
presidente del consiglio, renderebbe molto più incerto l’esito del
referendum sulle riforme.
Poi c’è Tempa rossa. L’inchiesta non
accenna a chiudersi. Ieri a Potenza è stata confermato il sequestro dei
pozzi ed è finito indagato il vicepresidente di Confindustria Lo Bello.
Renzi ha posticipato il voto sulle mozioni di sfiducia per evitare che
il dibattito incidesse sull’esito del referendum. Se dalle urne uscirà
indebolito, la scelta potrebbe rivelarsi un boomerang e rendere la
discussione sulle mozioni una battaglia drammatica, non per il risultato
del voto al Senato, quello è scontato, ma per gli effetti sull’opinione
pubblica e sulla popolarità del governo.
Se il quorum non sarà
raggiunto, Renzi stanotte canterà comunque vittoria. Se riderà davvero o
a denti stretti dipenderà dalla percentuale di votanti.