il manifesto 16.4.16
Votare sì per dire no all’economia dei sudditi
17 aprile. È un diritto-dovere votare su scelte che riguardano tutti. E rispondere a chi irride il voto dei cittadini
di Moni Ovadia
Il
referendum di domani, al di là del suo portato specifico, rivela,
l’esistenza di due opposte concezioni del mondo, della politica e, in
ultima analisi, del senso del vivere nel nostro Paese ma anche oltre i
nostri confini.
Buon ultimo, il governo Renzi, coerente con i
precedenti esecutivi e in ossequienza a tutti coloro che esso
rappresenta, – ovvero i grandi interessi industriali e finanziari – è
allergico già in prima istanza, a misurarsi con l’espressione diretta
della volontà popolare.
Non tragga in inganno il referendum
inevitabile sulla “deforma” costituzionale; Renzi non lo vive per ciò
che dovrebbe essere, un confronto con la volontà popolare, ma come la
proiezione plebiscitaria sulla sua personale narcisistica leadership.
Sulle
questioni strategiche che attengono praticamente e simbolicamente al
futuro delle persone e alla qualità della loro esistenza, ritiene che
esprimersi direttamente sia una perdita di tempo. Davvero una singolare
idea del valore della democrazia diretta, ma Renzi e i suoi hanno
sposato a monte un’ideologia che si fonda esclusivamente sugli interessi
dei potentati di ogni settore delle attività economico finanziarie.
L’azione legislativa e la sua comunicazione, si iscrivono in una visione
frusta e consunta del modo di governare una società che fa leva sulle
presunte ragioni della millantata creazione e/o conservazione di posti
di lavoro, come se la prosperità economica potesse essere pensata solo a
senso unico. Lo scopo di questa ideologia è quello di fare apparire le
alternative all’economia del privilegio come chimere o, peggio, come il
frutto di un conservatorismo deteriore nemico dello sviluppo
ipercapitalistico dichiarato assiomaticamente come l’unica via
possibile, l’unica soluzione virtuosa.
Tutto lo sforzo di coloro
che si oppongono al confronto sul merito del referendum è di screditarne
il valore, di screditare quei cittadini che, con passione civile e non
per servire interessi precostituiti e favoriti per titolarità a priori,
vogliono il referendum per fare sentire la propria voce.
Qual è la
richiesta dei cittadini sostenitori dell’opzione referendaria? Essi
chiedono che per ogni decisione che attiene alla salute degli esseri
umani e dell’ambiente, sulle questioni che attengono al rapporto fra
scelte economiche e qualità della vita, sia garantita la loro
partecipazione attiva. Il malcelato sentimento di sufficienza, quando
non di disprezzo nei confronti di chi si schiera con impegno per il
voto, la dice lunga su come pensano il confronto sui grandi temi coloro
che invitano i cittadini italiani a disertare le urne per sabotare il
raggiungimento del quorum.
La democrazia che vogliono è quella dei
governi non eletti, o dei governi eletti da elezioni formali, esito di
una routine di cui si è perso il senso, visto che la classe politica è
sempre più lontana dagli elettori e sempre più impegnata in
un’autoperpetuazione svuotata di significato.
Colpisce e sconcerta
qualunque cittadino si sia formato attraverso l’insuperato
ammaestramento della nostra mirabile Costituzione, la protervia con cui
un presidente del consiglio che ha ricevuto la fiducia da un parlamento
delegittimato per essere stato invece eletto con una legge vergognosa
definita dal suo stesso estensore una porcata, invita alla diserzione
dall’atto di massima espressione di una democrazia autentica.
Il
significato del voto in occasione di questo particolare referendum,
assume una valenza di particolare rilievo etico. Andando a votare in
massa, noi dichiariamo che sono i cittadini a decidere l’ordine delle
priorità, che il bene comune è superiore a qualsivoglia ambizione di chi
governa, che la volontà dei cittadini partecipanti si oppone
all’improntitudine di chi la considera irrilevante. Dichiariamo che noi
non siamo i sudditi degli interessi di pochi potentati, che le migliori
scelte economiche sono quelle che si rivolgono alle opportunità offerte
da uno sviluppo economico fondato sul benessere delle persone e la
salute del pianeta, a fortiori oggi dopo la conferenza sul clima di
Parigi che, pur con tutti i suoi limiti, ha affermato l’urgenza della
questione ecologica.
Il decisionista di Rignano sull’Arno ci vuole
far credere che lui ritiene inutile questo specifico referendum, ma non
è così. Non è difficile intuire cosa il Matteo nazionale pensi per
esempio del referendum sull’acqua pubblica che vide una travolgente
partecipazione degli italiani che, quasi unanimemente chiesero che
l’acqua fosse bene pubblico. È in questa direzione che intende andare il
governo? Neanche per sogno. Quindi non è difficile intuire che per il
nostro presidente del consiglio la partecipazione attiva e diretta dei
cittadini sia solo un fastidioso ingombro ed è allarmante constatare che
lo stesso pensiero sprezzante animi il nostro ex Presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano.
C’è seriamente da chiedersi: ma noi
italiani, per oltre un settennato abbiamo avuto un Presidente della
Repubblica super partes o un ottimizzatore di governi con legittimità a
scartamento ridotto?