sabato 16 aprile 2016

il manifesto 16.4.16
Sì, si vota. E qualcuno ha paura del quorum
Referendum. La chiusura di una campagna ostacolata con ogni mezzo e tanta slealtà dal governo e dalla lobby dei petrolieri. Lo sforzo di centinaia di organizzazioni e migliaia di volontari. Ambientalisti e pescatori, sostenitori delle energie alternative e agricoltori... Tutti in piazza perché le piattaforme vengano rimosse al termine delle concessioni. In gioco c’è il futuro dell’Italia
di Serena Giannico

ROMA «Matteo Renzi ha detto che “è più efficace non andare a votare”. Ma se i cittadini rimangono a casa, questo fa bene al Paese? Anche l’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano è sceso in campo per l’astensione. Evidentemente hanno paura del quorum…».
Il messaggio parte da Piazza del Popolo, dove il comitato nazionale «Vota sì per fermare le trivelle» chiude la campagna referendaria, limitata al minimo di legge (59 giorni) e che è costata 360 milioni, che si sarebbero potuti risparmiare accorpando – ma il governo non l’ha voluto – la consultazione popolare alle amministrative di giugno. «Abbiamo avuto pochissimo tempo per informare sulle ragioni del voto, ma subito dopo Pasqua è partita la mobilitazione spontanea in tutta Italia. Sono centinaia le organizzazioni e i gruppi sorti e migliaia i volontari che si sono attivati – dice Maria Maranò del comitato -. La posta in gioco è alta, dato che in ballo c’è il futuro dell’Italia e dei nostri figli. È stata una campagna ostacolata in modo poco leale, perché non sono stati accettati l’accorpamento alle amministrative e il confronto pubblico».
Senza contare l’ostruzionismo sistematico del premier. Nonostante ciò «abbiamo avuto già due vittorie – viene sottolineato -: con lo Sblocca Italia sono state cancellate le norme che permettevano di estrarre idrocarburi sulle nostre coste indistintamente. Poi c’è stata una grande opera di sensibilizzazione, perché devono essere i cittadini a poter decidere, non le lobby. Manca la terza vittoria: cancellare, alle urne, il regalo fatto alle compagnie petrolifere. Ossia piattaforme a tempo indeterminato, lasciate ad arrugginire, senza pagare il costo dello smantellamento».
Dalla piazza un mare… di voci. «Ci auguriamo tanti sì perché la pesca è sul banco dei danneggiati – afferma Raffaella de Rosa, Alleanza Coop Italiane Pesca -. Le trivelle sottraggono spazio alla marineria, danneggiano i fondali, le onde d’urto allontanano gli stock e impediscono la riproduzione. Sono nocive per le risorse ittiche e per la pesca che conta 100 mila occupati e 300 milioni di fatturato all’anno. La pesca viene sottoposta a rigido controllo, mentre alle piattaforme petrolifere non è chiesta neanche la Vas, la Valutazione ambientale strategica (preventiva) e questo non è accettabile». «Mare e turismo sono il vero patrimonio dell’Italia – evidenzia Tullio Galli, di Assoturismo -. Immaginate se ci fosse una fuoruscita di petrolio dagli impianti offshore. Solo in Emila Romagna ci sono 15mila imprese che operano nel turismo e 50mila addetti».
Il referendum è stato voluto da 10 Consigli regionali: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania, Molise e Abruzzo. Quest’ultima, nel mezzo dello scontro giudiziario e politico, ha battuto in ritirata. Un’iniziativa richiesta in buona parte da governatori del Pd che, in sostanza, si oppongono alla strategia energetica del capo del governo e loro segretario di partito. I cittadini dovranno decidere se i permessi per estrarre idrocarburi in mare, entro 12 miglia nautiche (22,224 chilometri), debbano durare fino all’esaurimento del giacimento, come avviene attualmente, grazie a una modifica ad hoc apportata dallo Sblocca Italia, oppure fino al termine della concessione.
Se il referendum dovesse passare le piattaforme piazzate attualmente a meno di 12 miglia dal litorale verranno smantellate una volta scaduta la concessione, senza poter sfruttare completamente il gas o il petrolio sotto i fondali. Non cambierà invece nulla per le perforazioni su terra e in mare oltre le 12 miglia, che proseguiranno, né ci saranno variazioni per le nuove perforazioni entro le 12 miglia, già vietate dalla legge.
«Siamo produttori di energia – dice in piazza il presidente di Assorinnovabili, Agostino Re Rebaudengo – ci occupiamo di idroelettrico, fotovoltaico e biomasse. E non approviamo l’automatica estensione illimitata delle concessioni per le aziende petrolifere». «Tutti i Paesi del mondo hanno affermato a Parigi la grande emergenza dettata dai cambiamenti climatici e l’importanza di tenere le temperature sotto il grado e mezzo – dichiara Andrea Masullo di GreenAccord -. Entro il 2030 dobbiamo provvedere a una riduzione del 40% delle emissioni. Il punto è che l’Italia non ha un piano energetico: che ne sarà, ad esempio, dei lavoratori dell’Eni? La vera scelta è tra passato e futuro. Siamo al 18mo posto in Europa per modernità e innovazione delle reti elettriche, retaggio del passato basato su fonti fossili e ostacolo per le rinnovabili».
Tra le forze produttive anche la Confederazione italiana agricoltori. «Abbiamo aderito al sì anche perché va nella direzione di quello che dice l’Unione Europea – sostiene Alessandro Mastrocinque -. Da sempre noi siamo per le rinnovabili anche perché le tecniche di estrazione inquinano le produzioni che arrivano sulle nostre tavole». Claudio Albonetti, presidente di Assoturismo Confesercenti ricorda che il «vero petrolio sta nei giacimenti culturali, artistici e ambientali dei nostri territori». E così, col flash mob del dio Nettuno che, nel cuore di Roma, scaglia le trivelle fuori dalle acque optando per i pannelli solari, inizia il countdown.