il manifesto 15.4.16
Nuit Debout, una lotta ri-costituente
Il
racconto. Il movimento francese contro il Jobs act di Valls e Hollande
dilaga in tutto il paese. La protesta degli studenti e dei precari
contro la riforma del lavoro El Khomri coinvolge i ferrovieri e i
portuali. In migliaia restano nelle piazze fino a notte fonda. La
polizia sgombera, il giorno dopo ricominciano le occupazioni. A due
settimane dal gigantesco sciopero contro il governo socialista, gli
orologi sono fermi. Oggi in Francia è il 46 marzo
di Jamila Mascat
PARIGI
A più di cinque settimane dal primo sciopero di protesta contro la
riforma del lavoro, il 9 marzo, la Loi El Khomri sembra un effetto
goffamente indesiderato. La legge di troppo, quella che ha fatto
traboccare il vaso dell’insofferenza ed è riuscita a coagulare la rabbia
delle vite precarie di giovani e lavoratori esposti ai contraccolpi
della crisi economica e sottoposti da oltre cinque mesi alla cappa
asfittica dello stato di emergenza. E infatti ni chair à patron, ni
chair à matraque (non siamo carne da macello per le imprese né per i
manganelli) è diventato il ritornello della protesta.
Se la difesa
dello statuto dei lavoratori sotto attacco è il primo punto all’ordine
del giorno, la posta in gioco della mobilitazione è ben altra. Al
coordinamento nazionale degli studenti medi, che sabato e domenica si è
riunito per la prima volta a Nanterre, c’è perfino chi suggerisce di
votare la rivoluzione. Nelle assemblee universitarie (miste, non miste,
di dipartimento e interfacoltà), che si susseguono e si moltiplicano a
scadenze ravvicinate, il lavoro è in questione: si discute delle 32 ore,
dei sussidi di disoccupazione, di basic income e organizzazione
sindacale.
C’è chi perora la causa dei contratti a tempo
indeterminato, chi dice “lavorare tutti/lavorare meno” e chi, come
Selim, al quarto anno di filosofia alla Sorbona, di lavoro salariato non
vuole sentire parlare perché andrebbe abolito. L’assemblea degli
studenti di filosofia di Paris 1, riunita lunedì nell’anfiteatro Turgot,
si confronta a lungo sulla mozione che propone l’aumento di 300 euro
del salario minimo (Smic). Per alcuni è una mossa al ribasso, per
Mathieu, che la difende a spada tratta, “non significa la fine del
capitalismo, ma è una misura concreta che può servire a qualcosa”; alla
fine conquista i pareri degli scettici e la maggioranza è favorevole.
“Fare deragliare il governo”
Rapidamente
nel corso delle riunioni studentesche è maturata la consapevolezza che
non è possibile combattere la Loi Travail senza espandere il perimetro
della contestazione: quindi si esige anche la fine dello stato di
emergenza, si chiede la revoca della nuova legge contro la prostituzione
che criminalizza i clienti, si condannano gli sgomberi degli
accampamenti dei rifugiati, si chiede il rilascio immediato dei
manifestanti fermati e si decidono azioni concrete di sostegno ai
lavoratori in lotta.
La lettera indirizzata ai ferrovieri della
Gare d’Austerlitz dagli studenti di Paris 1 e dell’Ecole Normale
Supérieure comincia così: “Cari lavoratori e lavoratrici, […] il 31
marzo eravamo più di un milione in piazza a manifestare e a esprimere in
massa e con entusiasmo la nostra collera e il rifiuto categorico di
questa progetto antisociale. La pioggia e i manganelli non sono riusciti
ad abbatterci”. Se il calendario di mobilitazione previsto dalle
direzioni sindacali rischia di “dividere il movimento proprio nel
momento in cui è fondamentale restare uniti”, gli studenti prendono
l’iniziativa da soli e invitano i ferrovieri a Tolbiac, a partecipare
sabato mattina a un’assemblea interprofessionale di quartiere con i
postini, gli insegnanti, il personale dell’ospedale della
Pitié-Salpêtrière e altri lavoratori mobilitati. Se “la convergenza
delle lotte non è un mito, né il disco rotto di militanti ottusi, ma la
sola carta vincente di questo movimento”, allora bisogna darsi da fare.
E
gli studenti non perdono tempo: in duecento martedì pomeriggio hanno
fatto incursione alla stazione di Saint-Lazare per dare manforte ai
travailleurs debout con la proposta di “far deragliare insieme il
governo”. L’obiettivo di questo e altri interventi a fianco di un
settore tradizionalmente combattivo, e ora in lotta contro l’attuale
riforma dello statuto dell’impresa ferroviaria oltre che contro la Loi
Travail, è il tentativo di rinnovare le relazioni pericolose tra
studenti e ferrovieri e far scoccare la scintilla sui binari per
accendere la fiamma dello sciopero generale, come accaduto a maggio del
1968 e a novembre del 1995.
Call Center, la catena della miseria
Karim,
delegato di Sud Rail, che lavora nelle officine di manutenzione dei Tgv
e degli Eurostar di Saint-Denis, prende la parola all’incontro sulla
convergence des luttes organizzato dal comitato di mobilitazione di
Paris 8. “Venite a trovarci in stazione e in officina, perché abbiamo
bisogno di sapere che c’è gente là fuori che non aspetta altro che
paralizziamo tutti i treni”. Marie, studentessa di Paris 8, raccoglie
l’invito: “Se non lo facciamo noi che abbiamo tempo ed energia a
disposizione, chi lo deve fare questo lavoro?”. La parata di lavoratori e
studenti in lotta che chiedono e promettono di sostenersi a vicenda
continua.
Ci sono anche Moustafa e Karine di Air France, Alexis
della RATP, l’azienda metropolitana di Parigi, Elisa della coordination
degli intermittenti dello spettacolo, e il collettivo degli operatori
sociali del 93, un distretto alla periferia nord della capitale. Luís
lavora al 3949, il call center del collocamento.
“Lo chiamiamo il
gulag perché è un inferno. Noi lavoriamo come sorvegliati speciali,
mentre i disoccupati che telefonano ci trattano come se fosse colpa
nostra”. Luís racconta la “catena della miseria” che nelle banlieues si
propaga all’infinito. Per questo “la battaglia contro la Loi El Khomri
deve farsi carico delle periferie dove il lavoro è già una tragedia e
per essere fermati dalla polizia non serve neanche manifestare”. Kenza,
del coordinamento degli studenti medi, fa appello all’unità contro le
intimidazioni.
Cgt: se la polizia tocca uno studente, blocchiamo i porti
Dopo
il caso (virale su youtube con oltre due milioni di visualizzazioni) di
Danon del liceo Bergson, a Parigi, preso a pugni da tre poliziotti che
gli hanno spaccato il naso, e la vicenda di Ryan, il quindicenne fermato
per 24 ore con l’accusa di aver tentato di bruciare un cassonetto
davanti al liceo Voltaire, che ora rischia fino a 10 anni di prigione e
75mila euro di penale per danneggiamento di beni materiali suscettibile
di causare danni a terzi, al liceo Blanqui, a Saint-Ouen, i militari
pattugliano l’ingresso dell’edificio, formalmente per ottemperare al
piano Vigipirate antiterrorismo.
Manuela lavoratrice portuale di
Le Havre, in Normandia, lancia una proposta concreta: “Da noi la CGT ha
votato una mozione semplice: se la polizia tocca uno studente,
blocchiamo il porto, e finora la minaccia ha funzionato”. Applausi.
Contro
la tentazione diffusa a isolare i casseurs (letteralmente “quelli che
spaccano”), la portavoce del coordinamento nazionale degli universitari
Aïssatou Dabo ha replicato che “la violenza sta tutta da una parte
sola”. Gli studenti, insomma, non ci cascano. E il fatto che qualche
migliaio di poliziotti abbia sfilato il 7 aprile scorso all’appello del
sindacato Unité-police SGP-FO per chiedere una riqualificazione
professionale e remunerativa all’altezza degli sforzi supplementari
imposti dallo stato di emergenza, è forse la cartina di tornasole più
palese di uno stato di repressione, che è riuscito ad affaticare non
solo chi lo subisce ma perfino chi lo infligge.
Place de la République: centro irradiatore
Finora,
nonostante gli incidenti di percorso, gli studenti hanno dimostrato di
avere tutto quello che serve per continuare la protesta: i piedi per
terra, per correre e sfuggire alle cariche della polizia, e la testa
sulle spalle, per non lasciare che la divisione mediatica tra buoni e
cattivi si insinui a frantumare il movimento. Il corteo del 5 aprile è
stata una bella prova di solidarietà. A Parigi la manifestazione è
finita dopo ore e ore di presidio davanti al commissariato di Rue de
l’Evangile in attesa che i compagni arrestati venissero rilasciati (130,
di cui molti adolescenti) e si è conclusa con una marcia trionfante e
spontanea che poi è confluita verso la Place de la République per
ripartire di nuovo, a tarda notte, verso il Quartiere Latino e erigere
le barricate sul Boulevard Saint-Germain aspettando la liberazione degli
ultimi fermati.
La place de la République, che solo pochi mesi fa
era stata investita dal lutto commemorativo degli attentati di
novembre, è stata designata dai promotori della Nuit debout a epicentro
della protesta. La trovata viene da lontano e risale a una riunione
organizzata il 23 febbraio alla Camera del lavoro, non lontano da lì, su
iniziativa della redazione del giornale satirico Fakir, diretto da
François Ruffin, il regista del film Merci patron!, che sta riscuotendo
un successo sorprendente nelle sale e nelle piazze francesi.
In
quell’occasione lavoratori, precari, studenti e sindacalisti hanno
lanciato la proposta di inventare un modo per “mettere paura” al
governo. Quando a marzo quell’iniziativa ha incrociato il percorso della
battaglia contro la Loi Travail, è nata l’idea di occupare République, a
partire dalla notte del 31 marzo, per perpetuare il movimento e fare in
modo che il 1 aprile non segnasse una battuta d’arresto della protesta
cristallizzata dallo sciopero del giorno precedente. Così è nato il
nuovo calendario che sta prolungando all’infinito il mese di marzo.
Straripamenti
Trascorrere
la nuit debout significa rimanere svegli e vigili, ma restare anche in
piedi, ben dritti pronti a resistere e contrattaccare. Occupata dopo tre
settimane dall’inizio della mobilitazione contro la Loi Travail, la
Place de la République, non è il “crepuscolo dei bobo”
(bourgeois-bohémiens) che vorrebbe Le Figaro, ma un centro di
irradiazione delle lotte. La manifestazione del 9 aprile, partita da
République e conclusa tra cariche e lacrimogeni a Place de la Nation,
verso sera è tornata al punto di partenza. Da lì ancora centinaia di
manifestanti hanno lanciato la proposta di andare a prendere l’aperitivo
a casa del primo ministro Manuel Valls. E dopo una lunga scorrazzata in
giro per i quartieri del centro – unica vittima un veicolo elettrico
dell’autolib, il servizio di car sharing di proprietà del gruppo
Bolloré, antico marchio del capitalismo francese dal 1822 – tutti sono
riconfluiti di nuovo in piazza cercando di bloccare il traffico dei
boulevard limitrofi.
Per prevenire altri “straripamenti”,
paventati dalla sindaca socialista della capitale Anne Hidalgo,
l’ennesimo sgombero della Place de la République minacciato per la notte
di domenica, è avvenuto prevedibilmente all’alba di lunedì, ma la
piazza è stata altrettanto prevedibilmente rioccupata dai protagonisti
della Nuit debout. All’appello del segretario del Partito Socialista,
Jean-Christophe Cambadélis rivolto ai CRS debout! (Celerini in piedi!)
la piazza ha risposto per le rime: Paris debout, Valls à genoux! (Parigi
in piedi, Valls in ginocchio). E intanto dalle tante piazze francesi
della Nuit debout meno celebrate dai riflettori, ma combattive e
persistenti, si fa strada l’idea di un appuntamento parigino nazionale,
mentre si moltiplicano le notti brave anche nelle periferie della
capitale grazie agli sforzi delle assemblee interprofessionali e delle
associazioni di quartiere.
Anomalia francese
L’occupazione
della piazza evoca inevitabilmente i precedenti illustri di questi
ultimi anni – Puerta del Sol, Zuccotti e Gezy Park. Ma i paragoni
aiutano fino a un certo punto e rischiano di annacquare l’anomalia
francese. Intanto, a differenza del 15-M e di Occupy, la Nuit debout si
inscrive all’interno di un movimento sociale nato per contestare un
provvedimento di legge che rimette in discussione i capisaldi del
diritto del lavoro; non a caso lo sciopero generale, profondamente
inscritto nella tradizione del movimento operaio di questo paese, è una
delle parole d’ordine della protesta.
E a République tra le tante
commissioni che si riuniscono quotidianamente o quasi – Françafrique,
azione, democrazia, migrazione lgbt+, educazione, femminismo, economia,
discriminazione – per poi presentare lo stato dei lavori ogni sera in
assemblea c’è anche la commissione grève générale. In secondo luogo si
tratta di un movimento offensivo che ha dato ripetutamente prova di
voler forzare limiti e divieti imposti dall’ordine pubblico, pur
incanalando la collera nei ranghi della strategia. Merita di non essere
trascurata nemmeno la partecipazione delle organizzazioni politiche e
sindacali all’esperienza della Nuit debout. Il processo di erosione
della legittimità di queste stesse organizzazioni che aveva largamente
ispirato l’M15, è per ragioni storiche e congiunturali meno pronunciato
in Francia che in Spagna.
Furiosamente espansivi
La dinamica
della piazza è furiosamente espansiva. A République non solo
confluiscono le tante anime della protesta, ma da lì defluiscono per
mobilitare altre forze e altri spazi. La convergence des luttes, un
cavallo di battaglia di vecchia data nella storia dell’extrême gauche
francese, è nel ritmo prima e oltre che nello spazio, e consiste nel
tentativo di sincronizzare gli orologi della lotta. Il tous ensemble,
l’arma gloriosa degli scioperi del 1995 contro la riforma del welfare
dell’allora primo ministro di Chirac, Alain Juppé, e l’obiettivo
dichiarato di questo movimento, non può che essere il risultato di una
trama composita di tempistiche non allineate.
Per questo tra le
fila dei militanti sindacali, degli studenti e di tanti lavoratori
mobilitati c’è timore che le direzioni confederali, la Cgt in primis,
rischino di bruciare i tempi rinviando la convocazione del prossimo
sciopero al 28 aprile. Per ora le gentili concessioni di Valls agli
studenti non hanno sortito alcun esito, mentre Cgt, Sud, Fo, Fsu
mantengono la richiesta del ritiro in blocco della Loi Travail.
Se
ci fossero ripensamenti da parte dell’Unef, il principale sindacato
degli universitari e il più moderato, il coordinamento nazionale degli
studenti sarà pronto a contestare qualsiasi accordo unilaterale. A fine
aprile inizia perciò il secondo round della mobilitazione: dopo lo
sciopero intersindacale del 28, che alcuni settori sembrerebbero pronti a
prolungare, la discussione della legge debutterà in Assemblea Nazionale
il 3 maggio – qualche settimana prima del processo agli operai di Air
France protagonisti a ottobre dell’affaire delle camicie strappate,
fissato per il 27 maggio – per concludere a giugno l’iter parlamentare.
Difficile fare previsioni in attesa di questo secondo round.
Intanto
un nuovo movimento sociale ha cominciato a prender forma, tramutando la
rabbia, la crisi, e i tempi bui dell’état d’urgence in qualcosa di
nuovo e fortunatamente imprevedibile. “Non sapevano che fosse
impossibile, allora l’hanno fatto”, direbbe Mark Twain.