La Stampa 15.4.16
Sanders punta alla Convention per fermare la corsa di Hillary
Il
senatore non si ritira obbligando la rivale a spendere sino a 20
milioni al mese Il suo manager: Clinton avanti grazie ai superdelegati,
faremo saltare la nomination
di Paolo Mastrolilli
Le
primarie di martedì a New York saranno un punto di svolta per le
presidenziali nel campo democratico. Hillary Clinton punta ad una
vittoria netta, per mettere fine all’insurrezione di Bernie Sanders che
le sta costando 20 milioni di dollari al mese, oltre alle liti che
scalfiscono la sua immagine e il suo consenso. Il senatore del Vermont
invece conta di ottenere abbastanza delegati per non perdere contatto
con la favorita, in modo da poter contestare la sua nomination alla
Convention di Philadelphia e convincere i superdelegati a cambiare
cavallo appoggiando lui.
La frustrazione di Hillary
La
campagna di Hillary, secondo fonti interne, è molto frustrata perché lo
scontro con Sanders si sta incattivendo. Ciò danneggia il Partito
democratico, che invece grazie alla guerra civile in corso fra i
repubblicani avrebbe ottime possibilità di vincere. A questo punto della
campagna Clinton pensava di aver chiuso la partita, e potersi
concentrare sul voto di novembre. Invece deve continuare a lottare
contro Bernie, e questo le costa circa 20 milioni di dollari al mese,
che invece avrebbe voluto risparmiare per lo scontro finale col
candidato repubblicano. Secondo il manager della campagna di Hillary,
Robby Mook, Sanders non ha possibilità matematiche di conquistare la
nomination, perché da qui alla fine delle primarie sono in palio solo
stati che assegnano i delegati col proporzionale. Quindi anche se Bernie
li vincesse tutti, non riuscirebbe comunque a colmare lo svantaggio
accumulato, che a questo punto è già superiore a quello di Clinton nel
2008 contro Obama. Mook comunque pensa di vincere alla grande a New
York, e poi in Pennsylvania e New Jersey, chiudendo la partita prima del
voto del 7 giugno in California.
Oggi in Vaticano
La
campagna di Sanders è frustrata, perché dopo aver vinto otto delle
ultime nove consultazioni sente di aver il consenso dalla sua parte. La
visita di oggi in Vaticano per parlare alla conferenza della Pontificia
accademia delle scienze sociali non verrà strumentalizzata a fini
politici, ma di certo alzerà il suo profilo anche sul piano
internazionale. Il senatore però sa che faticherà a tradurre questi
risultati nella nomination, e quindi sta affondando i colpi. Al comizio
di mercoledì sera nel cuore del Greenwich Village, dove oltre 27.000
persone hanno affollato Washington Square per appoggiare Bernie, un suo
sostenitore ha accusato Hillary di essere una «prostituta» del grande
business. Là abbiamo incontrato il manager della sua campagna, Jeff
Weaver, che ha spiegato così la strategia: «Andremo fino alla Convention
di Philadelphia, e convinceremo i superdelegati che il nostro candidato
è la scelta migliore per il partito e il Paese». Tradotto dal
politichese, significa che Sanders sa di non poter raggiungere la soglia
di 2.383 delegati che renderebbe automatica la sua nomination, ma spera
di conquistarne abbastanza per negare a Hillary di raggiungere questo
traguardo, senza l’aiuto dei superdelegati scelti dal partito e quindi
non eletti.
A quel punto potrebbe andare alla Convention per dire
che Clinton non ha vinto il voto popolare, e i democratici dovrebbero
ridiscutere la nomination, sollecitando i notabili a cambiare cavallo.
Le contromosse
Fonti
interne alla campagna di Hillary escludono che questo possa avvenire,
perché i superdelegati impegnati a sostenerla sono tutti membri del
partito, amici e alleati, che non l’abbandoneranno mai. Il problema
piuttosto è cosa offrire a Sanders per calmarlo e ottenere che appoggi
la campagna di novembre, portando in dote i gruppi elettorali dove è più
forte, a partire dai giovani. Bernie ha già chiarito che non vuole fare
il vice, e nemmeno il ministro: qualcuno vicino, però, potrebbe entrare
nell’amministrazione. Lui invece influenzerebbe l’agenda e otterrebbe
un ruolo di primo piano alla Convention. Se i democratici riprendessero
la maggioranza al Senato non potrebbe fare il leader, perché quel posto è
stato già promesso a Charles Schumer di New York, ma avrebbe la
presidenza di una importante commissione legata ai suoi temi preferiti. A
patto però che non spinga Hillary troppo a sinistra, ostacolando poi la
manovra per conquistare il «centro vitale» dove si vince la Casa
Bianca.