il manifesto 15.4.16
Il bisogno di libertà di Pietro Ingrao
di Alberto Olivetti
«Da
che cosa nasce in te la scelta del partito comunista?» chiede a Pietro
Ingrao, in una pagina de Le cose impossibili, Nicola Tranfaglia.
La
risposta è: «Prima di tutto per un bisogno di libertà. Questo fu ed è
rimasto un punto costitutivo del mio impegno nella politica: ci
riuscissi o no. Devo confessare che in me la motivazione della
modernità, dello sviluppo non è stato mai il punto determinante. Il
‘progresso’ stava per me in quel processo di liberazione. E vorrei
spiegarmi: esso era qualcosa di più e di diverso dalla uguaglianza».
L’argomentazione
di Ingrao ha il tono di un bilancio, reso guardando all’insieme del suo
«impegno nella politica» che già si estendeva allora, nel 1990, per un
corso di oltre cinquanta anni. Ragionando la connessione di libertà e
comunismo, Ingrao accosta due termini: «progresso» e «processo»,
combinati in modo che l’uno – progresso – si elida nell’altro –
processo.
La questione della libertà viene di conseguenza
raccordata, significativamente, con processo e non coordinata a
progresso. Secondo Ingrao si ottiene adeguata e proficua nozione d’una
realtà grazie alla attenta ricognizione delle realtà che essa implica,
coinvolge e collega. Comprese le realtà che evoca o solo suggerisce, per
via d’allusione o d’analogia. Comprese le realtà che ricusa o che
declina in opposizione o a contrasto.
Su queste premesse, Ingrao
richiama ad «una visione polimorfa delle cose e della soggettività». Le
realtà, vuoi soggettive, vuoi di relazione, si affermano complesse,
producono complessità e come complessità agiscono. «Dar conto della
complessità»: tale, dice Ingrao, è il compito della politica quando è
intesa a «esprimere un allargamento dell’esistere», chiamata ad
articolare una prassi che promuova le condizioni necessarie per una
espansione delle libertà. Ingrao ha dedicato una cospicua parte delle
sue energie a rendere il partito comunista – al quale ha aderito per «un
bisogno di libertà» – adeguato a dar conto della complessità, nella
situazione storicamente determinata dell’Italia repubblicana, dentro la
regola e nello spirito della Costituzione del 1948. N
ell’idea di
Ingrao, il partito è l’assetto che dispone, appresta, prepara –
accordando e componendo – fino ad affermare e realizzare, dando loro una
riconoscibile forma, le istanze di trasformazione che emergono mature
nella concretezza della relazione economico sociale. La forma comunista
di partito, nell’avviso di Ingrao, va modulata sul convincimento che le
realtà soggettive e di relazione vadano assunte come «complessità».
Costantemente
studiate nei loro svolgimenti, si tratta di favorire e intensificare le
dinamiche che recano equilibri nuovi nell’intento di dar loro un
orizzonte di senso. L’orizzonte comunista verrebbe così delineato da una
«praxis» del connettere, dell’intrecciare, del combinare soggetti e
istituzioni, coscienza e partecipazione, ruoli e interazioni facendo
ricorso e valorizzando le istituzioni della Repubblica e le
articolazioni volta a volta nuove che si danno i movimenti.
Non si tratta, allora, di operare, a mezzo del partito, una «reductio ad unum» delle plurali realtà.
Dal
modello, termine privilegiato da Ingrao nella discussione e nel
confronto sullo sviluppo italiano negli anni Sessanta, al processo,
quale forma adeguata d’un organismo politico teso ad una prospettiva di
crescita delle libertà. La funzione del partito sta nel disporre la
complessità riconoscendone i peculiari flussi e conducendoli secondo un
processo. Ingrao giunge per questa via a configurare l’agire politico
come un risultato, non come una presa di posizione.