il manifesto 14.4.16
Il sindaco di Riace: «Il migrante è una risorsa e non un business»
Intervista.
L’accoglienza secondo il sindaco di Riace Mimmo Lucano: «I 35 euro al
giorno che lo stato elargisce per l’ospitalità li investiamo per creare
posti di lavoro»
di Claudio Dionesalvi e Silvio Messinetti
RIACE
La rivista statunitense Fortune lo ha classificato tra le «50
personalità più influenti del pianeta». Mimmo Lucano, sindaco di Riace
dal 2004, è un uomo schivo che non si lascia ammaliare dalle luci della
ribalta.
Sente più l’onore o il peso di questo riconoscimento? E
che effetto fa, a un uomo riservato come lei, essere annoverato tra le
personalità influenti del globo?
La premessa è che non sono, né mi
sento, potente piuttosto che influente. Qui a Riace abbiamo solo
sperimentato un’idea che a me è connaturata sin dai tempi in cui
militavo, negli anni’70, nel movimento studentesco. Volevamo un mondo
libero e giusto e abbiamo provato a costruirlo in queste lande. Io
faccio il mio lavoro di sindaco con normalità. La nostra la definisco
l’utopia della normalità. Mai troveranno spazio ordinanze contro rom o
lavavetri come accaduto altrove. Perché, come dico spesso, il migrante
che arriva a Riace ha gli stessi diritti del sindaco. È un microcosmo
che declina una Calabria solidale, dove i germi dell’umanità hanno
attecchito. E questo è anzitutto un processo culturale che mi piace
condividere con tutti e che deve partire da una consapevolezza, ovvero
che fenomeni epocali, come le migrazioni cui stiamo assistendo, non si
arresteranno finché non cesseranno le politiche predatorie del mondo
occidentale.
Perché un laboratorio come quello di Riace, un
esperimento di integrazione reale da perseguire e da emulare, è stato
ignorato per anni, o è arrivato agli onori della cronaca con grande
ritardo?
Perché è più facile urlare, veicolando odio e disprezzo
come fa Salvini che è onnipresente in tv. Le guerre tra poveri, le
isterie xenofobe, le speculazioni fanno audience, mentre i casi di buona
politica dell’immigrazione ne fanno molta meno. La nostra “utopia della
normalità” non tira perché è più facile diffondere un discorso razzista
che costruire ponti sociali e meticciati culturali. Anche le soluzioni
semplicistiche, come combattere il traffico di esseri umani bombardando
le carrette del mare come disse Renzi mesi fa, sono boutade che non
risolvono i problemi, sono solo utili alla propaganda.
A Riace si
accoglie il migrante e non lo si respinge, lo si inserisce nel tessuto
sociale e non lo si rinchiude in un hot spot. Qui vivono stabilmente e
lavorano 400 rifugiati. Che idea s’è fatto delle politiche europee in
tema di immigrazione?
A Riace non esistono linee di demarcazione,
fili spinati, gabbie. C’è semplicemente un’integrazione diffusa dove
aborriamo ogni forma di nazionalismo che è alla base dei fallimenti
dell’Europa in tema di processi migratori. Pochi credevano che un borgo
semideserto si potesse davvero rianimare, che le botteghe artigiane
della tessitura della ginestra o della lavorazione della ceramica
potessero davvero riaprire, che a Riace si potessero davvero organizzare
asili e scuole multilingue per far crescere i figli dei migranti senza
bandiere e barriere nazionali, etniche o religiose.
Il laboratorio
Riace nasce e cresce nelle specificità della Locride. Come si concilia
con la narrativa criminale in cui la Locride è confinata?
La
Calabria è una terra stranissima, è la terra degli estremi e delle
contraddizioni. Qui a Riace non ci sentiamo portatori di un’idea
salvifica ma crediamo che sia la normalità la vera utopia
rivoluzionaria. Le risorse che lo stato destina ai migranti le spendiamo
al meglio. I 35 euro al giorno che lo stato elargisce per l’ospitalità
di ogni migrante – un costo dimezzato rispetto a quello che
comporterebbe la sua permanenza in un centro d’accoglienza – non li
usiamo in modo assistenziale e parassitario, ma li investiamo per creare
posti di lavoro, istituire borse di lavoro. E i migranti molte volte li
usano come rimesse verso i loro paesi di origine. Perché qui nulla si
spreca e mai si specula.
In altri contesti le risorse disponibili
per l’accoglienza sono state accaparrate da mascalzoni che a volte hanno
intrappolato i migranti in strutture indegne. In alcuni casi si sono
persino infiltrate le mafie. Come fa un amministratore a distinguere i
veri operatori dell’accoglienza dagli speculatori?
Partendo da una
presa di coscienza: che il migrante è una risorsa e non un business.
Che non si lucra sulla disperazione della povera gente ma si lavora
insieme a loro per il riscatto. Quel che in questi anni abbiamo provato a
fare con il nostro ’albergo diffuso’, cioè l’assegnazione ai migranti
delle case abbandonate, che è arrivato a disporre di ben 150 posti
letto. Oppure con i laboratori artigianali, la raccolta differenziata
dei rifiuti – che all’inizio i migranti facevano con gli asini, per
inerpicarsi nei vicoli del borgo – e poi con le piccole imprese di
agricoltura biologica.
Sabato prossimo parteciperà al convegno di
Cassano allo Jonio su “Riduzione in schiavitù e l’alternativa di Riace”,
organizzato dall’associazione “Combinato disposto” con Arci, Flai Cgil e
il vescovo don Savino. Non teme che la schiavitù possa costituire un
moderno modello di sviluppo e una diffusa disciplina del mercato del
lavoro?
Assolutamente sì. Qui nel mezzogiorno i migranti vivono
una condizione di schiavismo legalizzato. Ma non se ne esce rafforzando
le politiche securitarie, impiantando uno stato di polizia o inasprendo
le leggi ma solo estendendo le tutele e garantendo politiche di
accoglienza.
Il papa è già stato a Lampedusa, sabato si recherà a Lesbo. Si aspetta che un giorno Bergoglio arrivi a Riace?
È
un mio sogno. Tra l’altro papa Francesco è legatissimo a Riace,
quand’era vescovo di Buenos Aires ci accolse insieme alla comunità
emigrata riacese. Il suo messaggio rivoluzionario è quello che più si
avvicina al quell’universalismo dei diritti che qui, nel nostro piccolo
borgo, cerchiamo di praticare giorno per giorno.