il manifesto 14.4.16
Referendum, il bastone tra i banchetti
ROMA.
"Niente raccolta di firme nel prossimo fine settimana perché si vota
contro le trivellazioni". La decisione - orale - della questura rischia
di compromettere la campagna contro le riforme costituzionali,
l'Italicum e per i quesiti sociali
di Andrea Fabozzi
ROMA
Divieto di banchetti a Roma. Per un fine settimana la questura vuole
impedire che si raccolgano le firme per le campagne referendarie appena
partite. Con una motivazione che preoccupa, perché se accolta metterebbe
a rischio non solo il prossimo sabato e la domenica, ma anche quelli di
giugno in cui si terranno le elezioni amministrative e i ballottaggi.
Tre week-end in bianco, su dodici disponibili in tutto. E 500mila firme
da raccogliere per ogni quesito.
Al rappresentate dei comitati per
il sì all’abrogazione dell’Italicum – ma la raccolta delle firme è per
tutti i referendum, anche quelli contro il jobs act, la nuova legge
sulla scuola, le trivellazioni e gli inceneritori – la questura di Roma
ha negato l’autorizzazione ai banchetti. Che in realtà è un semplice
timbro di ricevuta sul preavviso che presentano gli organizzatori di una
riunione in pubblico (l’ordinamento non prevede alcuna autorizzazione
preventiva). La spiegazione che hanno dato i funzionari del questore
Marcello D’Angelo è che la legge (212 del 1956) impedisce la propaganda
elettorale diretta e indiretta nel giorno delle elezioni e in quello
precedente. E domenica c’è il referendum sulle trivellazioni in mare.
Non
si tratta dunque di «elezioni» e nemmeno si vota per i referendum per i
quali si stanno raccogliendo le firme. Tutti lontanissimi ed eventuali:
nella migliore delle ipotesi si terranno tra più di un anno. La
raccolta delle firme riguarda altri temi e non è neanche descrivibile
come una riunione di «propaganda». Eppure in questura hanno spiegato che
la sigla dei proponenti – Comitato del sì – potrebbe creare confusione,
trasformandosi in un invito a votare sì al referendum sulle trivelle,
quello di domenica prossima. Fosse solo questo, basterebbe evitare
cartelli e simboli per il sì ai banchetti. Ma evidentemente non è solo
questo, tant’è vero che l’avvocato Pietro Adami, che per conto del
comitato ha presentato la richiesta, fino a ieri sera non ha ricevuto un
diniego scritto. È indispensabile per presentare ricorso al Tar del
Lazio. Dalla questura è arrivato solo un rifiuto verbale, e la stessa
cosa ha ottenuto il senatore di Sinistra italiana Francesco Campanella
che ha contattato gli uffici del questore e poi ha denunciato in una
dichiarazione «le indicazioni del ministro Alfano». «È una decisione
illegittima e molto grave che rischia di compromettere la raccolta delle
firme, anche per il referendum costituzionale», ha detto l’avvocato
Felice Besostri del coordinamento contro l’Italicum.
Proprio
domani mattina, infatti, il comitato per il no al referendum
costituzionale – quello che a ottobre proverà a fermare la riforma
approvata dal parlamento martedì scorso – presenterà in Cassazione il
quesito sul quale partirà la raccolta delle firme (la legge di revisione
costituzionale dovrebbe essere pubblicata oggi sulla Gazzetta ufficiale
con la formula sospensiva, in attesa del referendum). Dovrebbero
esserci anche questi nuovi moduli sui banchetti che a Roma la questura
vuole impedire. Nel frattempo sia alla camera che al senato le
opposizioni hanno deciso di raccogliere velocemente e tutte insieme le
firme necessarie (65 senatori o 126 deputati) per proporre l’identico
referendum confermativo. Cercando di battere sul tempo i parlamentari di
maggioranza che – dopo aver votato a favore della riforma per tre volte
in ogni ramo – proporranno il referendum, immaginandolo come un
plebiscito sul governo e sul presidente del Consiglio.
È stato
Renzi, infatti, appena 24 ore fa dall’Iran, a spiegare che «si può
votare no solo per odio verso di me». E ad annunciare che farà campagna
elettorale per il sì in prima persona «usando anche argomenti
demagogici». Eppure proprio lui, tornato in Italia, ieri ha risposto su
twitter alla domanda di un attore, sostenendo che «non sono io a
trasformare il referendum in un plebiscito».