il manifesto 14.4.16
Referendum, ora Renzi teme il passo falso
17
aprile. Il premier preoccupato: la sua sovraesposizione con l’invito
all’astensione a rischio boomerang. Anche i ministri Franceschini e
Madia annunciano che si terranno lontani dalle urne. La presidente della
camera Laura Boldrini: «Non votare è la conferma del disamore per la
politica»
di Andrea Colombo
Il Tar del Lazio ha
respinto i ricorsi del Codacons e dei radicali sulla scelta di fissare
il referendum in data diversa da quella delle elezioni comunali. Il voto
sulle trivelle resta convocato per domenica prossima. Poco male se lo
scherzetto costerà 300 milioni. L’importante è evitare che i votanti
superino il 50%, e non si badi a spese.
Nel quartier generale di
Renzi sono contentoni. Ci voleva una notizia rassicurante, tanto più
perché da quelle parti si è diffuso un tangibile nervosismo, la
sensazione, condivisa dallo stesso capo, di aver sbagliato strategia.
Gli ufficiali renziani ancora non temono il raggiungimento del quorum,
che per il premier sarebbe disastroso, però danno per possibile
l’afflusso del 40% di votanti: l’asticella che separa un risultato
accettabile da una sconfitta politica secca, pur se non esiziale come
sarebbe il superamento del quorum e la vittoria dei «sì». Anche perché,
segnalano alcuni dei più vicini al capo, una percentuale alta di votanti
renderebbe poi inevitabile il paragone con quanti voteranno nel
referendum del prossimo ottobre, e se in quell’occasione la percentuale
dovesse scemare, sarebbe imbarazzante.
Insomma, siamo alle
previsioni metereologiche. I renziani contano su una domenica di caldo
eccezionale, prevista dai nipotini del colonnello Bernacca, e si fregano
le mani: saranno in tanti ad andarsene al mare. Spiano i sondaggi, che
nei giorni roventi di Tempa rossa erano arrivati sulla soglia del
fatidico 40% ma ora sono lievemente scesi. Si complimentano con se
stessi per aver spostato con le cattive il voto sulle mozioni di
sfiducia a martedì prossimo, dopo il referendum. Con il sottosegretario
targato Pd Vito De Filippo, ex presidente della Basilicata, indagato per
Tempa rossa, il dibattito sarebbe stato la miglior pubblicità possibile
per il referendum. Ma la paura resta.
Lui, Renzi, non lo
ammetterebbe mai apertamente, ma dicono che oggi consideri uno sbaglio
l’essersi esposto tanto su quel referendum. Un po’ perché gli sarebbe
stato facile lasciare libertà di voto tirandosi fuori dalla mischia, e
molto perché proprio la sua discesa in campo spinge anche la destra
verso le urne. Gli esponenti della Lega e di Fi annunciano voti
diversificati: Brunetta per il no, la Brambilla per il sì e così via.
Però molti andranno a votare non per le trivelle ma per Renzi, e se la
scelta dovesse essere fatta anche da molti elettori di destra del nord,
dove il problema trivelle è assai meno avvertito che nel sud, allora sì
che sarebbe un guaio.
Inoltre, è stata sempre la sovraesposizione
del premier a rendere la faccenda un caso istituzionale di rilievo. Ieri
la presidente della Camera Laura Boldrini è tornata sull’argomento:
«Andrò a votare perché ritengo che sia un dovere. Non andare a votare è
la conferma del disamore per la politica e della disillusione». Per
quanto il Pd ci voglia girare intorno, lo spettacolo dei quattro vertici
istituzionali, il capo dello Stato, i presidenti delle camere e quello
della Consulta, che vanno a votare mentre il premier e i suoi ministri
di fiducia invitano all’astensione sarà giocoforza parecchio
increscioso.
Ieri altri due ministri renziani di peso,
Franceschini e Madia, hanno annunciato che domenica si terranno lontani
dalle urne. La Boschi farà lo stesso, ma senza nemmeno avere il coraggio
di dirlo apertamente come i colleghi in questione: «Seguirò le
indicazioni del mio partito».
Il quale però è tanto spaccato da
far sì che questo referendum sia anche una prova generale del prossimo,
quello di ottobre sulla riforma costituzionale. L’area che domenica
intende andare a votare, sia pure in modo differenziato, con Bersani per
il «no» e Speranza impegnatissimo sul fronte opposto, è la stessa che
non ha ancora sciolto la riserva sul voto autunnale, in attesa di una
provvidenziale modifica dell’Italicum. Quella revisione non arriverà,
Renzi lo ha garantito una volta di più proprio ieri. Ma se la minoranza
voterà no al referendum sulla riforma costituzionale, tanto più in una
prova che lo stesso Renzi ha trasformato in plebiscito su se stesso, la
convivenza nello stesso partito diventerà impossibile.