il manifesto 12.4.16
Renzi balla da solo
Aula semideserta per l'ultimo storico via libera alle riforme costituzionali
di Norma Rangeri
Dopo
una mattinata in visita allo stabilimento di Calzedonia e un salto alla
fiera di Vinitaly, nel pomeriggio il presidente del consiglio prende la
parola alla camera dei deputati, «per parlarvi con il cuore in mano»,
nel discorso conclusivo prima del voto finale sulle riforme della
Costituzione.
Il bagno di folla della mattina tra gli stand è quel
che ci vuole per chi sa che l’aspetta un’aula semivuota dove ad
ascoltarlo c’è solo la maggioranza di governo perché tutte le
opposizioni hanno scelto di abbandonare i banchi di Montecitorio.
Niente
arringa finale, nessun comiziaccio, questa volta Renzi sceglie toni
bassi, che forse nelle intenzioni vorrebbero somigliare a un discorso
solenne, adatto a quello che lui stesso definisce «passaggio storico».
In realtà la puntigliosa difesa dell’opera di rottamazione
costituzionale mostra un leader in affanno, del resto il momento
politico, per il premier e per il suo governo, non è dei migliori. La
spinta propulsiva è finita, gli scandali allungano l’ombra della
questione morale e gonfiano le vele delle opposizioni.
Renzi
chiama a difesa alcuni padri nobili (Dossetti e Terracini) della
Repubblica, per le loro critiche alla giovane Carta che avevano da pochi
anni contribuito a scrivere. Come se «gufi» e «professoroni» fossero
immuni da riflessioni e ripensamenti e non avessero espresso le loro
critiche, semplicemente, però, non coincidenti con quelle del presidente
del consiglio.
Non ci sono applausi e le parole servono a
riempire il tempo. Naturalmente Renzi difende se stesso, il suo governo,
la sua legge di revisione costituzionale. Non può ringraziare il
senatore Verdini (che non si fa vedere), ma può esprimere la sua
gratitudine all’ex capo dello stato, Napolitano, formidabile motore
dello tsunami renziano. Dopo il voto d’aula, la parola passerà al
referendum-plebiscito di ottobre, quando, avverte il premier, «userò
anche argomenti demagogici».
Siamo tutti avvisati per
l’appuntamento d’autunno, mentre per il referendum di domenica prossima,
quando saremo chiamati a dire sì o no allo spot delle trivelle, il
presidente del consiglio ha scelto la linea dell’astensione.
A
dirgli, chiaro e tondo, che il suo invito a disertare le urne non è
degno del comportamento di un buon cittadino, è stato ieri l’ultimo
disfattista, il presidente della Consulta. Proprio citando la Carta, il
giudice delle leggi ricordava come faccia «parte della carta di identità
del buon cittadino votare» al referendum del 17 aprile.
Ma non sempre un bravo cittadino è anche un buon politico.
Siamo convinti che il presidente Mattarella domenica andrà a votare, ci aspettiamo che oltre a farlo trovi il modo di dirlo.